Il Disegno di legge (DDL) Calderoli sull’autonomia differenziata approvato il 2 febbraio scorso avrà conseguenze decisive sul futuro dell’Italia e sulla vita dei cittadini. Il presente lavoro si propone di delineare alcune conseguenze dell’autonomia differenziata sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Si prevede un aumento della rischiosità del debito pubblico ed una riduzione strutturale delle prospettive di crescita dell’Italia, che renderanno più probabile la possibilità di default dell’Italia a seguito di shock esogeni. Le principali cause sono una minore capacità fiscale del governo centrale e la scomparsa delle economie di scala in rilevanti settori generate dall’autonomia differenziata
1. Introduzione
Il DDL sull’autonomia differenziata prevede che le regioni a statuto ordinario possano chiedere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in 23 materie, tra cui istruzione, salute, ambiente, infrastrutture e trasporti, produzione di energia, internalizzazione delle imprese, tutela e sicurezza del lavoro.
Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonoma nelle materie richieste. Per la gestione delle materie oggetto di autonomia, le regioni possono trattenere i tributi equivalenti.
Il trasferimento delle funzioni attinenti alla realizzazione dei diritti civili e sociali (scuola, lavoro, previdenza, etc.) è legato alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard, comunque da definire entro un anno. Invece, il trasferimento delle funzioni in altre materie (infrastrutture, porti, aeroporti, zone economiche speciali, ferrovie, protezione civile, energia) può avvenire indipendentemente dalla definizione dei LEP.
La conseguenza più rilevante del DDL Calderoli è che lo Stato centrale perde gran parte della capacità d’imporre tasse e di spendere, a vantaggio delle regioni. Viceversa, queste ultime potranno trasformarsi in piccoli stati sovrani, ciascuna con leggi, funzioni e risorse differenziate. Inoltre, secondo la riforma del Titolo 5, le regioni potrebbero realizzare intese tra di loro per costituire organi comuni per la gestione di infrastrutture o altro. Se le regioni più ricche dovessero intraprendere questa strada, la realizzazione della Macroregione del Nord diventerebbe lo Stato sostanziale dentro uno Stato formale svuotato in gran parte di poteri e contenuti.
2. Le conseguenze sul debito pubblico
Nel mese di aprile 2023 il debito pubblico italiano ha superato i 2800 miliardi, pari al 144% circa del PIL.
Il difficile equilibrio tra elevato debito pubblico e capacità di vendere il debito sui mercati si basa sulla fiducia che lo Stato, con le sue entrate fiscali, sia in grado di ripagare il debito. Quando questa fiducia viene meno, lo Stato italiano rischia il fallimento. Ricordo che il governo Berlusconi nel 2011 è stato costretto a dimettersi proprio per la necessità di ristabilire la fiducia dei mercati. L’autonomia differenziata mina dalle fondamenta questa fiducia, perché toglie allo Stato centrale gran parte del potere reale di coprire eventuali buchi di bilancio con nuove tasse o tagli di spese, essendo questi poteri in gran parte trasferiti alle regioni.
In altri termini, l’autonomia differenziata determina un forte indebolimento della capacità dello Stato di fare politiche di bilancio, aumentando in modo permanente il rischio di fallimento e i tassi d’interesse sul debito pubblico.
Si supponga che, dall’1 gennaio 2024 le sole tre regioni che hanno già chiesto l’autonomia differenziata (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) possano trattenere il 90% di Irpef, Ires e Iva, per finanziare le materie oggetto di autonomia. Dal 2024 lo Stato italiano avrebbe 112 miliardi di euro in meno di entrate fiscali per finanziare il debito pubblico (190 miliardi secondo Svimez, se si considerano anche le entrate previdenziali). Supponiamo che, a seguito del trasferimento delle funzioni alle regioni, unitamente alle entrate, si riducano anche le spese dello Stato. Comunque, la spesa regionalizzata di queste tre regioni ammonta a 77 miliardi di euro. Pertanto, esse avrebbero l’incentivo ad aumentare la spesa, per utilizzare l’intero residuo fiscale nel proprio territorio. Quindi, per lo Stato il trasferimento delle competenze a queste tre regioni comporta un aumento del deficit di circa 35 miliardi di euro. Non solo. Tutte le regioni a statuto ordinario avrebbero l’incentivo a richiedere l’autonomia differenziata sono in quelle materie in cui le entrate tributarie sono superiori alle spese, ricorrendo invece alla copertura finanziaria dello Stato centrale in quei settori dove le spese eccedono le entrate, con ulteriore aumento del deficit pubblico.
D’altra parte, il maggiore deficit avrebbe come conseguenza un aumento permanente dei tassi d’interesse sui titoli del debito pubblico, non a seguito di fattori congiunturali, ma come conseguenza del fatto che lo Stato riduce la sua capacità fiscale in modo permanente. A sua volta, ciò minerebbe la capacità dello Stato di fronteggiare non solo shock esogeni, ma anche aumenti significativi dei tassi di mercato. In altri termini, con la realizzazione dell’autonomia differenziata lo Stato italiano non sarebbe in grado di adottare le misure prese dal Governo Monti nel 2011 per far fronte alla crisi di fiducia dei mercati finanziari, perché perderebbe la capacità fiscale necessaria per far fronte ad una crisi di quelle dimensioni.
Tra l’altro, l’autonomia differenziata renderebbe il debito pubblico italiano, sempre più in balia dei mercati. Come si può notare dalla Tabella 1, già oggi lo Stato italiano deve ricorrere al mercato per finanziare più del 50% delle spese finali. Inoltre, già oggi, nonostante i tassi reali negativi, la spesa per interessi corrisponde al 22% della spesa senza interessi (si veda figura 1). Con l’autonomia differenziata queste percentuali aumenterebbero ulteriormente, a seguito di almeno quattro fattori: 1) la riduzione delle entrate dello Stato centrale superiore alle uscite, 2) la necessità di aumentare le spese dello Stato per realizzare i livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni che non sono in grado di raggiungerli con le risorse proprie (si noti che tutt’ora sette regioni non sono in grado nemmeno di garantire i livelli essenziali di assistenza in sanità); 3) l’aumento della rischiosità del debito pubblico italiano; 4) l’asimmetria dell’impatto della crescita del PIL e dei tassi d’interesse sulla sostenibilità del debito pubblico.
3. Conclusioni
La sostenibilità del debito richiede che sia soddisfatta la seguente condizione: ps = [(r-g)/(1+g)d] ≥ 0, dove ps è il rapporto tra l’avanzo primario e il PIL, d è lo stock di debito pubblico sul PIL, r il tasso di interesse reale e g il tasso di crescita dell’economia. Implicita in questa formula è l’assunzione che all’aumento di g corrisponda un aumento delle entrate dello Stato, utilizzate per ripagare gli interessi sul debito. Tuttavia, con l’autonomia differenziata, un aumento di g non determina in prevalenza un aumento delle entrate dello Stato centrale ma delle regioni, che possono usare il residuo fiscale per aumentare le spese, indipendentemente dal livello del debito pubblico. Viceversa, un aumento di r ha un impatto diretto sull’aumento del debito pubblico. Questa asimmetria degli effetti di un aumento r e g sull’avanzo primario rende più difficile la sostenibilità del debito pubblico italiano, anche in una fase di crescita economica. A ciò si aggiunge il fatto che il trasferimento di alcune materie alle regioni (ad esempio, energia, trasporti e telecomunicazioni, ricerca e sviluppo) fa perdere le economie di scala che caratterizzano questi settori, e che possono essere sfruttate solo su una dimensione nazionale.
Comunque, come dimostra l’esperienza delle regioni a statuto speciale, le regioni che beneficiano dell’autonomia differenziata utilizzano l’intero residuo fiscale per offrire più servizi, e la realizzazione dell’autonomia differenziata non comporterebbe una riduzione complessiva della spesa pubblica. Quindi, lo Stato centrale per finanziare nuovo debito o far fronte a shock esogeni dovrebbe ricorrere a nuova tassazione, da imporre su tutto il territorio nazionale, oppure dovrebbe ridurre i trasferimenti a quelle regioni che non raggiungono i livelli essenziali delle prestazioni. Queste considerazioni inducono a concludere che l’autonomia differenziata prefigurata dal DDL Calderoli mina la stessa sopravvivenza dello Stato unitario, rendendo meno sostenibile il debito pubblico italiano e riducendo le opportunità di crescita del Paese.
Bibliografia
1. Bassi Andrea. Autonomia, 112 miliardi di tasse finirebbero alle regioni del Nord. 10 Maggio 2023.
2. Ministero dell’Economia e delle Finanze -Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato (2023). BILANCIO SEMPLIFICATO DELLO STATO PER IL TRIENNIO 2023-2025.
3. Presbitero Andrea Filippo e Rebucci Alessandro. Stabilizzare il Debito tra Tagli e Tasse. Lavoce.info, 25.11.2011
4. Schema di DISEGNO DI LEGGE DISPOSIZIONI PER L’ATTUAZIONE DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO. 2 febbraio 2023.
5. Servizio del bilancio, (2023). Nota di lettura, «A.S. 615: “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”». NL52, maggio 2023, Senato della Repubblica, XIX legislatura