Il presente lavoro mira ad analizzare il ruolo dell’Università nel contesto territoriale valdostano, sulla base della percezione e della valutazione degli stakeholder. A tale scopo, è stata usata la tecnica qualitativa del Policy Delphi, che prevede la consultazione reiterata di un panel in forma anonima allo scopo di far emergere dei punti vista dominanti su un tema rilevante per la definizione di politiche. Dall’indagine presso gli stakeholder, emerge da un lato il riconoscimento di diversi punti di forza del giovane ateneo valdostano, utili allo sviluppo economico di una regione remota, di confine, come la Valle d’Aosta. Ma dall’altro lato risalta che l’istituzione universitaria non riesce ancora ad assolvere pienamente quella funzione di università civic strategica per lo sviluppo locale, sottolineata in letteratura, compiendo pienamente le proprie missioni istituzionali, in particolare la terza Missione, in sintonia con i fabbisogni e le istanze del territorio. [Scarica il PDF]
Introduzione
L’impatto economico e sociale di un ateneo sul territorio di riferimento è rilevante e molteplice (Charles, 2003; Valerio e van Reenen, 2016). Secondo Valero e Van Reenen (2016), in media, un aumento del 10% nel numero di università pro-capite accresce il PIL regionale dello 0,4%, con effetti positivi anche sulla crescita delle regioni vicine.
Le università «creano» capitale umano e attirano capitale umano (Lodde, 2007) che poi tende a stabilirsi sul territorio, con diversi benefici nel medio-lungo periodo (Ciriaci, 2014; Dotti et al. 2013), Inoltre, le università generano fenomeni di knowledge transfer e knowledge spillover che possono decisamente beneficiare il sistema produttivo e la società locale. Goddard et al. (2013), individuano quattro aree in cui le università possono impattare virtuosamente sul territorio: sviluppo del capitale umano, con attrazione e retention di talenti; aumento della capacità innovativa grazie alle attività di ricerca; promozione dell’imprenditorialità (direttamente, e.g. spin-off; indirettamente, stimolando la nascita di star-up); rigenerazione e sviluppo socioculturale. Sempre secondo Goddard et al. (2013), le università assurgono a istituzioni strategiche per lo sviluppo locale, diventando università civic, quando hanno una visione olistica e integrata delle tre missioni istituzionali (Didattica, Ricerca, Terza Missione), legandosi identitariamente e funzionalmente al territorio, e agendo in modo trasparente e responsabile con i suoi rappresentanti. È evidente che è in particolare in regioni remote, marginali o rurali, povere di knowledge economy, e tipicamente più soggette a fenomeni di emigrazione e brain drain, che la presenza di una Università può potenzialmente avere rilevanti impatti virtuosi. Purtuttavia, il rapporto tra università e territorio è tutt’altro che lineare e univoco: appare infatti a volte perfino conflittuale. Per esempio, Benneworth e Dahl Fitjar (2019) individuano tensioni e contraddizioni tra la proiezione verso la dimensione sovra-locale e internazionale delle università (si pensi ai network accademici internazionali; o alla possibilità di servire anche il mercato del lavoro nazionale e internazionale) e le aspettative di regional engagement.
L’obiettivo del presente lavoro è quello di investigare il ruolo, effettivo e potenziale, dell’Università nel contesto di una regione montana remota come la Valle d’Aosta, sulla base della percezione e della valutazione degli stakeholder. La metodologia applicata a questo scopo è la tecnica qualitativa Delphi, che prevede la consultazione reiterata di un gruppo di esperti in forma anonima allo scopo di far emergere una (o alcune) opinioni dominanti su un determinato tema. Si tratta, a nostra conoscenza, di una metodologia innovativa nell’ambito di questo filone di studi. In particolare, si è usata la sua variante di Policy Delphi.
Nella sezione che segue si presenta il caso studio della Valle d’Aosta e della sua Università. La sezione 2 introduce poi la metodologia di indagine Delphi utilizzata per la Valle d’Aosta e il disegno dell’indagine. La terza sezione presenta e discute i risultati dell’indagine Delphi condotta in Valle d’Aosta. Infine, la quarta sezione sviluppa alcune riflessioni conclusive.
La Valle d’Aosta e la sua Università
La Valle d’Aosta, con 124.089 abitanti (2021) e 3.263 km² di superficie, è la regione più piccola del paese. È una regione di confine interamente montana, che secondo le più recenti classificazioni operate a livello comunitario (Dijkstra e Poelman, 2018), è una regione remota, di livello intermedio.
Si tratta di una regione con livelli di sviluppo elevati (Pil pro-capite – 36.295 euro, nel 2020 – e tasso di occupazione – 67.2%, nel 2020 – al di sopra della media nazionale[1]), per quanto declinanti nel medio e lungo periodo. La sua economia si fonda in particolare sui servizi (79% del valore aggiunto regionale[2]), grazie in particolare al preponderante ruolo del settore pubblico, legato alla Regione Autonoma Valle d’Aosta, e al settore turistico, con la presenza di località di fama internazionale (Cervinia, Courmayeur, La Thuile, Pila, Cogne, ecc.) e di risorse naturali uniche (i “quattromila”). Meno rilevanti, ma non trascurabili, altri settori come energie rinnovabili (idroelettrico), agro-alimentare, elettronica e metallurgia, con la presenza del più grande stabilimento industriale della regione, la Cogne Acciai.
La regione presenta diversi svantaggi di contesto che penalizzano le attività produttive, la competitività, nonché l’attrattività per gli investimenti (Musolino et al, 2020; Musolino e Silvetti, 2020). Tra questi, spicca il tema della modesta accessibilità trasportistica, in particolare ferroviaria. Inoltre, anche i livelli di scolarizzazione (proxy del capitale umano) nella regione languono: nel 2018 poco meno del 30% dei valdostani di età pari o superiore a 15 ha la maturità, mentre circa il 14% aveva la laurea o un titolo post-laurea[3].
L’Università della Valle d’Aosta è un ateneo relativamente giovane, fondato nel 2000. Si tratta di un ateneo non statale, ma promosso da un ente pubblico, la Regione Autonoma Valle d’Aosta, che partecipa direttamente agli organi di governo dell’Ateneo. Nell’a.a. 2020/2021, la popolazione studentesca ammontava a 1.039 iscritti, corrispondenti a circa lo 0.06% del totale degli iscritti negli atenei italiani. Il picco degli iscritti (1.269) è stato raggiunto nell’a.a.2010/2011; da allora si è registrato un tendenziale declino. L’Università della Valle d’Aosta serve principalmente studenti valdostani, tuttavia il 40% circa proviene da fuori regione (in larga parte da Piemonte e Lombardia). La quota di studenti stranieri risulta appena superiore al 5% degli iscritti, rivelando una capacità attrattiva sostanzialmente in linea con la media nazionale (5% circa). Da notare, sempre in fatto di attrattività, che più del 65% degli studenti universitari valdostani (circa 2.700) sono iscritti in atenei fuori regione. Per quanto riguarda l’inserimento occupazionale, secondo i dati Almalaurea i laureati dell’ateneo valdostano trovano lavoro in percentuali maggiori rispetto alla media nazionale.
Attualmente l’Università della Valle d’Aosta è localizzata in tre sedi, ed è ancora in fase di costruzione, nella zona centrale della città di Aosta, un campus destinato a ospitare le attività didattiche e di ricerca. L’offerta formativa si articola nell’erogazione di sei corsi di laurea generalisti inseriti all’interno di due Dipartimenti (Scienze Umane e Sociali, Scienze Economiche e Politiche)[4], con un corpo docente formato da 49 docenti di ruolo e 70 docenti a contratto. Il totale dei proventi dell’Ateneo, secondo il bilancio di previsione 2020, ammonta a 10.330.012,80 €, di cui i contributi dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta sono di 7.250.000,00 €, mentre i trasferimenti da parte del Ministero Università e Ricerca ammontano a 635.000,00 €.
Approccio e disegno dell’indagine
La tecnica qualitativa Delphi, sviluppata negli anni ’50 (Dalkey e Halme, 1963), affronta un tema di ricerca attraverso la consultazione reiterata e sistematica di un panel di soggetti, in forma anonima, allo scopo di far emergere un punto di vista dominante. Operativamente, la tecnica prevede la somministrazione ripetuta, su più round, di un questionario, sotto la guida di un moderatore, che raccoglie e analizza le risposte a ogni round, individuando di volta in volta i punti di vista prevalenti, e ripropone un nuovo questionario nel round successivo fino al raggiungimento di un livello sufficiente di convergenza. La variante denominata Policy Delphi è stata utilizzata la prima volta da Turoff (1970), quale applicazione del metodo Delphi a temi di policy. La differenza principale con la tecnica Delphi standard è che mentre quest’ultima mira ad ottenere un consenso pieno (convergenza piena su una posizione), il Policy Delphi ha l’obiettivo di far emergere le (poche) visioni predominanti, anche divergenti, su questioni complesse, ovvero le principali opzioni di intervento in un determinato ambito.
Seguendo le specifiche indicazioni metodologiche (Bezzi, 2016), nella fase iniziale del Policy Delphi condotto sul tema è stato selezionato un insieme alquanto eterogeneo di stakeholder, composto in tutto da oltre 50 soggetti[5]. Il Delphi si è svolto quindi su due round: al primo round hanno partecipato, completando il primo questionario, 21 soggetti (40% circa dell’insieme iniziale). Di questi, il 40% circa erano rappresentanti di associazioni di categoria ed enti camerali; il 10% rappresentanti di ordini professionali; il 25% rappresentavano associazioni o enti no profit (25%), e un altro 25% appartenevano ad altre tipologie di attori territoriali[6]. Il secondo e ultimo round ha registrato solo due defezioni (hanno quindi partecipato ad entrambi i round del Policy Delphi 19 soggetti).
Il primo questionario era suddiviso in due grandi sezioni: la prima denominata “Analisi”, contenente un set di quesiti mirati alla valutazione attuale dell’ateneo valdostano, ovvero all’individuazione dei suoi punti di forza e debolezza, con particolare riferimento alle tre missioni (Ricerca, Didattica, Terza Missione); la seconda denominata “Scenari, strategie e policy”, con un set di domande volte invece a capire quale modello di sviluppo ideale dovrebbe segnare il futuro l’ateneo valdostano, e quindi quali strategie, quali policy andrebbero definite e seguite.
Le risposte fornite dai partecipanti al primo questionario (primo round) sono state elaborate e sintetizzate applicando un’analisi del testo per categorie chiave (Corbetta et al, 2015; Rositi, 1988). ovvero, individuando e conteggiando le categorie chiave (item). Gli item più menzionati per ciascun quesito sono stati usati per la costruzione del secondo questionario con domande chiuse. Si è dunque operata una categorizzazione dal basso, utilizzando un approccio induttivo, in modo da “transitare” da un questionario di tipo qualitativo (primo round) a uno di tipo quali-quantitativo (secondo round). Nei quesiti chiusi del secondo questionario veniva quindi richiesto ai partecipanti di assegnare, a ciascun item proposto, un rating di natura ordinale, utilizzando una scala Likert[7].
Il secondo round è stato anche l’ultimo round del Policy Delphi. Il processo di convergenza delle opinioni verso alcune posizioni predominanti ottenuto con il secondo round è stato infatti ritenuto sufficiente. Dalle risposte alle domande chiuse poste nel secondo questionario si è calcolato il punteggio complessivo raggiunto da ciascun item[8], e così si sono potute identificare le posizioni predominanti.
Nel paragrafo che segue si presentano e discutono i risultati, focalizzando l’attenzione sull’analisi del punteggio ottenuto dalle posizioni predominanti a valle del secondo round, ed esplicitando in diversi casi anche le vivide parole degli stakeholder (espresse nel primo round).
Risultati
Punti di forza e debolezza
Con riferimento alla valutazione dell’Ateneo valdostano, ovvero agli attuali suoi punti di forza e di debolezza, dalle risposte date a valle del secondo round sono emersi chiaramente alcuni elementi chiave che, in modo puntuale, denotano sia positivamente che negativamente l’istituzione universitaria.
Per quanto concerne i punti di forza (Figura 1), emerge con chiarezza che la presenza di docenti qualificati rappresenta un evidente vantaggio (23 punti), e che il bilinguismo presente nell’offerta formativa erogata risulta essere pure un elemento positivo e caratterizzante (21 punti). Rilevante è anche il ruolo della localizzazione geografica che viene sorprendentemente valutata come un elemento positivo (17 punti): evidentemente, i vantaggi legati alla posizione della regione al confine con importanti paesi europei, in particolare la Francia (una regione non a caso denominata anche come Carrefour d’Europe), prevale sugli svantaggi legati alla perifericità della regione nel contesto nazionale. Infine, importante è pure il numero limitato di studenti, che evidentemente determina i vantaggi tipici delle piccole università “a misura d’uomo”; e la governance, a cui si accennava sopra, che consente una interlocuzione e un rapporto privilegiato con il decision-maker regionale.
Figura 1: Punti di forza dell’Università della Valle d’Aosta
Fonte: nostra elaborazione
La Figura 2 evidenzia invece i principali punti di debolezza individuati dagli stakeholder. Emerge che il principale “freno” allo sviluppo dell’università è rappresentato dall’indisponibilità di un campus universitario ultimato (21 punti). Questo è evidentemente un punto di natura strutturale e organizzativa, ma che è anche considerato per i suoi riflessi in termini di immagine e rappresentanza.
Ad esso seguono altri elementi. Innanzitutto, l’assenza di insegnamenti funzionali al territorio, ovvero l’inadeguata composizione dell’offerta formativa rispetto alle vocazioni e specializzazioni territoriali: si pensi per esempio all’assenza di corsi specifici mirati all’economia del turismo. È questo un elemento che evidentemente segna la “distanza” dal contesto territoriale che, come vedremo più avanti, diventa una dimensione ancor più rilevante in tema di strategie e policy. Vale la pena a questo proposito riportare quanto dichiarato già nel primo round da diversi dei partecipanti:
“A mio avviso l’Università della Valle d’Aosta è molto distaccata dal contesto politico e cittadino di Aosta. Sembra quasi che sia una Istituzione che non ha nulla a che vedere con il contesto attorno …”
“Credo molto nel potenziale dell’Università in Valle d’Aosta, soprattutto a livello di strategia diffusa in collaborazione con gli attori dei settori economici e produttivi. Ritengo, però, che al momento sotto questo punto di vista ci sia ancora molto su cui lavorare…”
Inoltre, emerge come altra criticità la scarsa accessibilità trasportistica della regione, legata evidentemente ancor più che alla mera posizione geografica periferica, alla carenza di adeguate infrastrutture e servizi di trasporto di collegamento con il resto del paese. Infine, spiccano anche l’isolamento culturale (la mentalità provinciale, “chiusa”), e la governance, che assume evidentemente una valutazione non univocamente positiva, nel momento in cui rischia di precludere l’autonomia dell’istituzione accademica dal decisore politico.
Figura 2: Punti di debolezza dell’Università della Valle d’Aosta
Fonte: nostra elaborazione
Visione e modello di sviluppo ideale
Con riferimento alla visione e al modello di sviluppo ideale verso cui dovrebbe andare in futuro l’Università, dal secondo round emergono alcune indicazioni abbastanza chiare (Figura 3). Spicca innanzitutto l’esigenza di andare verso un maggiore coinvolgimento e una maggiore interazione con le categorie produttive e socioeconomiche del territorio (32 punti).
Insieme a questa idea, che segna fortemente la visione dell’università da parte degli stakeholder, emergono altre indicazioni, che si intrecciano evidentemente con la stessa questione del rapporto con il territorio. Il rinnovamento dell’offerta formativa, innanzitutto, che è il secondo tema in termini di punteggio finale (27 punti) sottolineato dagli stakeholder. Segue poi lo sviluppo di corsi di laurea specialistici aderenti alla realtà del territorio (22 punti); l’idea di puntare sulla trasformazione di Aosta come città universitaria, altresì denominata student city (21 punti), e infine l’adozione trasversale del tema della montagna nell’offerta didattica.
Come emerge chiaramente, l’offerta formativa è un tema cruciale su cui gli stakeholder concentrano l’attenzione per i futuri sviluppi dell’ateneo. Da un lato, ciò significa evidentemente puntare sui percorsi formativi mancanti, quali quelli tecnico–scientifici tipicamente richiesti dalle imprese; dall’altro lato, tuttavia, intende anche l’introduzione di corsi di laurea specialistici più aderenti appunto al contesto economico di riferimento, dando più spazio, direttamente o trasversalmente, al tema della montagna.
Figura 3: Visione e modello di sviluppo ideale per l’Università della Valle d’Aosta
Fonte: nostra elaborazione
Il tema della montagna è pure importante, tra l’altro, per comprendere la visione degli stakeholder in materia di Università e città, ovvero la prospettiva di una migliore interazione/integrazione tra Università e tessuto socioeconomico urbano, tale da accrescere la capacità attrattività dell’Università e della città, trasformando Aosta in una student city. Anche qui le parole dei partecipanti sono molto efficaci:
“L’università potrebbe proporre lauree specialistiche “altamente specializzanti” per trasformare la Valle d’Aosta in una regione universitaria: ad esempio specializzandosi ancora di più sul turismo di montagna”
“…l’Università non deve limitarsi a duplicare corsi che uno studente può trovare a Torino o Milano, perché queste città avranno sempre un potere di attrazione superiore per chi, fuori sede, deve scegliere un’Università e valuta la propria scelta anche in base a quanto offre la città che la ospita. Aosta può diventare una città universitaria solo se offrirà corsi che, per la loro specificità, non possono essere trovati altrove. …. Certamente la montagna, senza però duplicare le offerte di Edolo o di Grenoble …”
“Aosta potrebbe essere una vera città universitaria alla pari di Pavia o altre città esclusivamente universitarie. L’economia che ruota attorno a una cittadina universitaria è importante: affitti, bar, mense, trasporti, librerie, lauree, ecc. Pensare a mettere in piedi dei corsi esclusivi universitari che possano portare studenti da tutta Italia, sarebbe la svolta per il territorio di Aosta …”.
Policy
Interrogati infine, sulle policy da mettere in atto per svolgere al meglio le tre missioni istituzionali nel contesto territoriale valdostano, emerge sommariamente come le azioni suggerite dagli stakeholder ruotino essenzialmente intorno al tema della creazione di una interazione sistematica, adeguata e virtuosa con il territorio.
Figura 4: Azioni da adottare per migliorare il ruolo dell’Università nel contesto valdostano
Fonte: nostra elaborazione
Dal calcolo finale fatto a valle dello svolgimento del secondo round (Figura 4), tra le proposte degli stakeholder svettano infatti, da un lato le azioni per rendere sistemici gli scambi di informazioni reciproci tra il tessuto produttivo del territorio e l’Università (28 punti); dall’altro lato, l’istituzione di un tavolo permanente con i vari soggetti rappresentanti il territorio (24 punti),. L’implementazione di una strategia comunicativa d’impatto del brand “Università della Valle d’Aosta” ottiene pure un buon punteggio (23 punti), mentre è considerata meno importante, seppur riceva un punteggio tutt’altro che trascurabile, la strada di un maggiore coinvolgimento dell’Università ad eventi ed iniziative a livello locale.
Riprendendo pure in questo caso le parole di alcuni dei partecipanti al panel, l’enfasi sull’interazione con il territorio, in particolare istituendo un luogo permanente e aperto di confronto, emerge vividamente:
“Per prima cosa, e si può fare in tempo zero, istituire un tavolo permanente che gestisca l’università. Non formato da politici e accademici o comunque non solo, ma soprattutto da rappresentanti delle imprese, delle associazioni di categoria, della camera di commercio ecc.”
“Sviluppare un dialogo continuo, coerente e corretto – cioè su posizioni paritarie – con il territorio. Maggior interesse da parte di docenti e ricercatori per i temi locali (che non sono necessariamente localistici) …”
“Credo sia necessaria una maggiore apertura dell’Università rispetto alla comunità locale, intendendo proprio anche l’uscita fisica degli studenti sul territorio, per toccare con mano il contesto in cui viviamo. Grazie alla posizione della nostra regione, abbiamo il privilegio di pensare al “contesto locale” non solo in ottica regionale …”.
Conclusioni
In conclusione, dagli elementi emersi appare chiaro che, secondo gli stakeholder, l’Università risulta dotata di diversi punti di forza. Tuttavia, emerge anche che non riuscirebbe ancora ad assolvere pienamente quella funzione di università civic sottolineata in letteratura, capace di leggere correttamente ad ampio raggio, e rispondere adeguatamente alle istanze del territorio. Ciò può contribuire a spiegare, insieme ad altri elementi di criticità evidenziati dagli stakeholder, la crescente difficoltà dell’Università ad attirare o trattenere studenti.
Risalta in altre parole il persistere una certa distanza dal contesto territoriale, che si rivela non solo nell’incapacità di perseguire pienamente la Terza Missione, elemento che implicitamente, ed esplicitamente (in particolare, dalle indicazioni di policy), emerge bene, ma anche nella difficoltà a realizzare le altre due missioni istituzionali, almeno secondo quelle che sono le aspettative degli attori territoriali. Si pensi appunto all’offerta formativa, poco sintonizzata con le caratteristiche e i fabbisogni del sistema produttivo locale.
Le implicazioni di policy suggerite dagli stakeholders danno conseguentemente indicazioni chiare e coerenti sullo sviluppo futuro dell’ateneo. Oltre a un consolidamento dell’ateneo come luogo fisico (realizzazione di un’unica sede) e come brand, serve stabilire un’interazione più stabile e strutturata con gli attori territoriali, ovvero i soggetti appartenenti al tessuto produttivo e socioeconomico locale, nonché un maggiore “allineamento” dell’offerta formativa alle vocazioni e alle specializzazioni territoriali.
Infine, va necessariamente ribadito che la regional mission non esaurisce la mission di un ateneo, che evidentemente contempla anche una scala sovra-locale, come sottolineato nell’introduzione. Ed è ovvio che il punto di vista degli stakeholder è solo una delle prospettive attraverso cui analizzare il ruolo di un’Università, che merita di essere eventualmente investigato anche usando altre prospettive, e altre tipologie di indagini e analisi. Tuttavia, i feedback e le istanze degli attori territoriali emersi da questo lavoro, appaiono molto chiari e coerenti, e non possono essere trascurati, in particolare in un’area remota come la valle d’Aosta, in cui l’Università potrebbe svolgere il ruolo di game changer, in una traiettoria di sviluppo che negli ultimi anni appare “pericolosamente” declinante.
Riferimenti bibliografici
- Benneworth, P. e Dahl Fitjar, R., (2019), Contextualizing the role of universities to regional development: introduction to the special issue. Regional Studies, Regional Science, 6:1, 331-338,.
- Bezzi, C., (2016), Fare ricerca con i gruppi. Guida all’utilizzo di focus group, brainstorming, Delphi e altre tecniche. Franco Angeli: Milano.
- Charles, D.R., (2003), Universities and Territorial Development: Reshaping the Regional Role of UK Universities. Local Economy, 18(1), 7-20.
- Ciriaci, D., (2014), Does University Quality Influence the Interregional Mobility of Students and Graduates? The Case of Italy. Regional Studies, (48), 1592-1608.
- Corbetta P. (2015), La ricerca sociale: metodologia e tecniche. Vol. 3: Le tecniche qualitative. Il Mulino, Bologna.
- Dalkey, N. e Helmer, O., (1963), An experimental application of the Delphi method to the use of experts. Management Science, (9), 458- 467.
- Dijkstra L. and Poelman H. (2018), Regional typologies overview. Statistics Explained. Eurostat, 13/07/2018 (http://ec.europa.eu/eurostat/statisticsexplained/)
- Dotti, N.F., Fratesi, U., Lenzi, C. e Percoco, M., (2013), Local Labour Markets and the Interregional Mobility of Italian University Students. Spatial Economic Analysis, (8), 443-468.
- Goddard, J., Kempton, L., e Vallance, P., (2013), Universities and Smart Specialisation: challenges, tensions and opportunities for the innovation strategies of European regions. Revista vasca de Economía, Basque Government, 83(02), 83-102.
- Grassi G. (2019), Capitale umano e sviluppo della formazione universitaria in Valle d’Aosta: una valutazione degli stakeholder del mondo produttivo sulla base di un approccio Delphi. Tesi di Laurea magistrale, Università della Valle d’Aosta, a.a. 2019/20.
- Lodde, S., (2007), Human capital and productivity growth in Italian regional economies: a sectoral analysis. Rivista Internazionale di Scienze Sociali, Anno 116, (2), 211-233.
- Musolino D, Meester W.J., Pellenbarg P.H. (2020), The mental maps of Italian, German and Dutch entrepreneurs: a comparative perspective. The Annals of Regional Science, 64, pp. 595–613.
- Musolino D., Silvetti A. (2020), Are Mountain areas attractive for investments? The case of the Alpine provinces in Italy. European Countryside, Vol. 12 (4), pp. 469-493, Dicembre.
- Valero, A. e Van Reenen, J., (2016), The Economic Impact of Universities: Evidence from Across the Globe, CEP Discussion Paper, 1444.
[1] Si veda dati.istat.it
[2] Op. cit.
[3] Op. cit.
[4] Nello specifico, sono erogati quattro corsi di studio delle lauree triennali: Lingue e comunicazione per l’impresa e il turismo (doppia laurea in convenzione con l’Université Savoie Mont Blanc); Scienze e tecniche psicologiche; Scienze politiche e delle relazioni internazionali (doppia laurea in convenzione con l’Université Savoie Mont Blanc e l’Universidad de Zaragoza); Scienze dell’economia e della gestione aziendale. Inoltre, sono erogati due corsi di laurea magistrale: Scienze della formazione primaria (magistrale a ciclo unico quinquennale); Economia e politiche del territorio e dell’impresa (doppia laurea in convenzione con l’Université Savoie Mont Blanc e con l’Université Nice Sophia Antipolis).
[5] Si veda anche Grassi (2019).
[6] Tra questi ultimi, ci sono: imprenditori, presidenti di parchi naturali, esperti di pianificazione, giornalisti.
[7] La scala Likert usata va da 1 (molto sfavorevole, molto in disaccordo, per niente importante/possibile, ecc.) a 5 (molto favorevole, molto d’accordo, estremamente importante/possibile, ecc.)
[8] Il punteggio finale è stato calcolato convertendo la scala Likert in una scala da -2 a +2, assegnando quindi ai valori ordinali da 1 a 5 i seguenti punteggi: zero al valore neutro (3), un punto positivo per ogni sezione favorevole ed un punto negativo per ogni sezione sfavorevole.