Il quadro complessivo per l’Italia Il 3 maggio scorso l’Istat ha pubblicato le ultime previsioni demografiche aggiornate per l’Italia fino al 2065[1] (Istat, 2018a e 2018b). Il quadro che emerge conferma il futuro declino demografico del nostro paese, la cui popolazione scenderà (secondo lo scenario mediano) dagli attuali 60,6 milioni a 59 milioni nel 2045 per poi attestarsi su 54,1 milioni di residenti nel 2065. Complessivamente, dunque, una diminuzione di oltre 6 milioni di abitanti, dovuta principalmente ad una dinamica naturale negativa, non adeguatamente compensata dai flussi migratori. Il saldo naturale (la differenza tra nascite e decessi) si prevede pari a -200mila unità annue nel breve periodo, -300mila nel medio periodo e -400mila nel lungo periodo. Pur prevedendo un saldo migratorio (differenza tra immigrati ed emigrati) positivo, pari a 165mila unità nette annue (maggiore al valore reale del 2016, pari a 144mila unità), per un totale di 2,6 milioni di stranieri in più fino al 2065, tale valore non sarà sufficiente a sostenere la crescita.
Al di là del declino quantitativo, un elemento ineluttabile sarà il progressivo e intenso invecchiamento della popolazione. Anche in presenza di un previsto aumento della fecondità da 1,34 a 1,59 figli per donna dal 2017 al 2065 (comunque largamente inferiore al livello di 2,1 necessario per garantire il ricambio generazionale delle madri con le figlie), la popolazione invecchierà a causa del progressivo innalzamento dell’aspettativa di vita, che passerà nello stesso periodo da 80,6 a 86,1 anni per i maschi e da 85 a 90,2 anni per le femmine. Complessivamente, l’età media della popolazione passerà dagli attuali 44,9 anni a 50,1, con una percentuale di anziani prossima al 34% nel 2065.
Un’Italia a due velocità La disponibilità di previsioni demografiche anche a livello regionale e di ripartizione offre l’opportunità di valutare come le attuali differenze tra le varie aree del paese tenderanno ad acuirsi e consolidarsi. Un dato che emerge chiaramente analizzando le previsioni dell’Istat è che l’Italia, dal punto di vista demografico, è attualmente divisa in due e tale divisione netta tenderà a cristallizzarsi progressivamente in futuro. Mentre il Centro-Nord continuerà a crescere fino al 2045, per iniziare a subire un calo demografico solo successivamente, il Mezzogiorno perderà ininterrottamente popolazione da oggi fino al 2065. Al Centro e al Nord il tasso di incremento complessivo della popolazione è attualmente positivo, e tale rimarrà per i primi anni di previsione, sostenuto anche da flussi migratori più consistenti. Mentre nel Mezzogiorno il tasso di crescita è negativo sin d’ora (per effetto di dinamica naturale e migratoria entrambe sfavorevoli) e si tradurrà in un calo costante e ininterrotto di popolazione fino al 2065. Da ciò deriverà anche una modifica dell’attuale distribuzione territoriale della popolazione italiana complessiva. Attualmente il Mezzogiorno ospita il 34% della popolazione residente, mentre il restante 66% si ripartisce tra le regioni del Centro e del Nord. Tali proporzioni diverranno, rispettivamente, il 29% e il 71% nel 2065.
Il futuro della Calabria Le previsioni demografiche dell’Istat scendono ad un dettaglio territoriale regionale e consentono, dunque, di focalizzare l’attenzione sulla nostra regione per capire quale futuro demografico dobbiamo plausibilmente attenderci. Al pari delle altre regioni meridionali, la Calabria è attualmente interessata da un intenso processo di declino demografico, dovuto essenzialmente ad una dinamica naturale estremamente negativa. Come mostrano i dati in Tabella 1, il tasso di incremento naturale nella nostra regione scenderà dall’attuale -2,4‰ a -10,2‰ nel 2065, in linea con i valori medi della ripartizione meridionale, mentre il valore italiano (seppur anch’esso negativo) sarà più contenuto. Il tasso di incremento migratorio, che pur si prevede leggermente positivo nel lungo periodo, non sarà sufficiente a compensare tale dinamica naturale, determinando un tasso di incremento totale della popolazione in ulteriore diminuzione rispetto al -2,1‰ attuale (-8,8‰ nel 2065). Per l’Italia, il decremento sarà, invece, più contenuto (crescita zero attualmente, -4,9‰ nel 2065) in ragione della dinamica naturale meno negativa e di una dinamica migratoria più favorevole.
Come si accennava, il problema principale non è il declino demografico in sé, ma il cambiamento della composizione per età della popolazione: l’azione congiunta della denatalità e dell’allungamento dell’aspettativa di vita si è, infatti, tradotta in invecchiamento demografico, processo che tenderà ad intensificarsi in futuro. Mentre attualmente la Calabria e le altre regioni meridionali presentano un livello del fenomeno più basso rispetto alle aree centro-meridionali, questa situazione si invertirà in futuro (Tabella 2). Attualmente, la popolazione anziana (ultrasessantacinquenne) è pari al 22,3% in Italia, al 20,5% nel Mezzogiorno e al 20,9% in Calabria. Tali percentuali diverranno, rispettivamente, 33,3%, 36% e 36,3% nel 2065. Parallelamente, diminuirà la popolazione giovane (0-14 anni), determinando uno squilibrio tra queste due componenti della popolazione. L’indice di vecchiaia – ossia il rapporto tra la popolazione anziana e quella giovanissima (che misura il grado di “polarizzazione” della popolazione) – arriverà in Calabria ad un valore di 341 anziani per ogni 100 giovanissimi nel 2065, contro un valore medio nazionale di 268. L’età media della popolazione calabrese salirà dagli attuali 43,9 anni a 51,9 nel 2065; per l’Italia, tali valori sono rispettivamente pari a 44,9 e 50,1 anni.
Implicazioni di policy La Calabria sta vivendo una fase di intenso spopolamento, al pari di tutte le altre regioni meridionali, che proseguirà e tenderà a peggiorare nel prossimo futuro. Al di là dello spopolamento, di per sé già preoccupante, un dato da non sottovalutare è quello relativo al cambiamento della composizione quantitativa della popolazione: la Calabria sta progressivamente invecchiando e questo avrà ripercussioni enormi a livello sociale ed economico. Due le cause principali di queste tendenze: la denatalità che interessa la nostra regione e la dinamica migratoria poco favorevole. Per quanto riguarda la denatalità, le donne calabresi fanno meno figli che in passato e questo dato può essere spiegato guardando anche alle condizioni strutturali del nostro sistema economico. La relazione tra fecondità e occupazione femminile è, infatti, una relazione diretta: la natalità aumenta laddove le donne lavorano perché il doppio reddito per le famiglie di traduce in una maggiore possibilità di sostenere i costi dei figli. La Calabria è caratterizzata da bassi tassi di occupazione femminile e, spesso, il lavoro femminile è precario, sfruttato, sottopagato, con difficoltà di rientro nel mercato del lavoro dopo la maternità. Tutto questo si traduce in un effetto scoraggiamento per le donne, in particolare nella transizione al secondo figlio. In relazione alle dinamiche migratorie[2], ciò che si osserva è un tasso di incremento migratorio netto con l’estero positivo controbilanciato, però, da un tasso di incremento migratorio netto con le altre regioni negativo. Infatti, la Calabria perde ogni anno moltissimi giovani, per lo più formati e qualificati, verso le altre aree del paese. In numero di emigrati verso altre regioni è enormemente superiore a quello degli immigrati da altre regioni, con conseguente saldo negativo di questa componente della crescita migratoria. Tale emorragia di popolazione contribuisce ad acuire una situazione demografica già di per sé abbastanza grave, contribuendo al progressivo spopolamento dei nostri territori e all’intenso invecchiamento della popolazione che vi risiede. Cosa si potrebbe fare per arginare queste tendenze? Difficile proporre soluzioni e, ancor più difficile, riuscire poi ad attuarle, date le condizioni di ritardo socio-economico in cui versa la nostra regione. Sicuramente, bisognerebbe lavorare sul fronte dell’occupazione femminile, favorendo la diffusione del lavoro protetto e tutelato e, parallelamente, ampliando la rete dei servizi di sostegno alla genitorialità (oggi praticamente inesistenti nella nostra regione). Sul fronte dell’occupazione giovanile, sarebbe necessario un rilancio generale dell’economia della nostra regione, in particolare in settori industriali oggi quasi del tutto assenti dal tessuto produttivo calabrese, che si traduca in una maggiore domanda di lavoratori qualificati in grado di assorbire l’offerta di lavoro qualificato dei giovani formatesi presso i nostri atenei. In assenza di interventi massicci ed efficaci che rilancino l’economia complessiva della nostra regione e creino nuovi posti di lavoro, dunque, nulla si potrà fare per arginare i processi di spopolamento ed invecchiamento demografico. Nell’arco di 40-50 anni, intere comunità della nostra regione, in particolare le aree periferiche, isolate, montane, sono destinate ad estinguersi. E la nostra regione, con quasi 4 anziani ogni 10 persone, sarà una delle regioni italiane con i più alti livelli di invecchiamento demografico.
Riferimenti
Istat (2018a). Previsioni della popolazione. Anni 2017-2065. http://demo.istat.it/previsioni2017/index.php?lingua=ita
Istat (2018b). Il futuro demografico del Paese. Comunicato stampa, 03 maggio 2018. https://www.istat.it/it/archivio/214228
Stranges M. (2017), “Lo spopolamento in Calabria nel quadro delle dinamiche demografiche del Mezzogiorno”, Open Calabria, http://www.opencalabria.com/lo-spopolamento-calabria-nel-quadro-delle-dinamiche-demografiche-del-mezzogiorno/
[1] Tutti i dati presentati in questo breve saggio si basano sulle previsioni demografiche rilasciate dall’Istat (2018b), scenario mediano, www.demo.istat.it
[2] Per maggiori dettagli si veda Stranges M. (2017), “Lo spopolamento in Calabria nel quadro delle dinamiche demografiche del Mezzogiorno”, Open Calabria: http://www.opencalabria.com/lo-spopolamento-calabria-nel-quadro-delle-dinamiche-demografiche-del-mezzogiorno/