Il dissesto di una banca produce conseguenze negative non solo per gli azionisti e i creditori della banca stessa, ma per molti altri soggetti. Per esempio per i debitori della banca, che si trovano nella situazione di trovare altri finanziatori. Inoltre, il dissesto di una banca può propagarsi ad altre banche e determinare conseguenze negative per una parte importante del sistema economico o addirittura per tutto il sistema economico. Per tali motivi i diversi Stati hanno sempre cercato di stendere una rete di protezione intorno alle banche. Questa rete di protezione è risultata composta da garanzie esplicite ed implicite. Durante la grande crisi finanziaria numerosi Paesi sono stati costretti a intraprendere importanti salvataggi bancari utilizzando risorse pubbliche. Nel 2014 una direttiva UE (nota con la sigla BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive) ha introdotto importanti cambiamenti normativi relativi alle procedure di risoluzione delle crisi bancarie. Questi cambiamenti hanno l’obiettivo di conseguire un’ordinata gestione e risoluzione delle crisi bancarie, ma sono basati su un principio esplicito: evitare che le crisi bancarie possano essere risolte con le risorse dei contribuenti. Premetto che condivido questo principio, motivato dalla volontà di non incentivare l’assunzione del rischio da parte delle banche e dalla volontà di spezzare il circolo vizioso tra solvibilità delle banche e finanze pubbliche dei Paesi più indebitati. Occorre, però, verificare l’estensione del principio sopra menzionato e le sue concrete modalità di applicazione, perché con riferimento alle banche emergono anche altre esigenze e altri interessi che sono meritevoli di tutela. Non sempre è facile conciliare i diversi interessi meritevoli di tutela.
Il bail in Questo contributo è centrato sulle conseguenze economiche della nuova normativa, con attenzione esclusiva a una forma speciale di passività bancarie: i depositi e, in particolare, i depositi in c/c, denominati anche depositi moneta. Esaminiamo sinteticamente cosa prevede la nuova disciplina quando una banca è in dissesto o a rischio di dissesto. Esiste un’Autorità di risoluzione (BCE o Banca d’Italia) che deve decidere quale strumento adottare. Uno di questi strumenti è il bail-in, attivabile a precise condizioni (si veda, per esempio, Stanghellini, 2016) . Il costo del dissesto si deve scaricare prima sugli azionisti e poi sui creditori della banca. Il bail in prevede, dapprima, la riduzione del valore nominale di una parte delle passività della banca per coprire le perdite e, se non basta, la conversione della restante parte in azioni fino alla soglia giudicata utile per ripristinare la fiducia del mercato. La legge stabilisce l’ordine di priorità con il quale i diversi soggetti sono chiamati a coprire le perdite: i) azionisti; ii) detentori di altri titoli di capitale; iii) altri creditori subordinati; iv) creditori chirografari: in tale categoria rientrano i detentori di obbligazioni ordinarie e i depositi appartenenti a grandi imprese; v) persone fisiche e piccole e medie imprese titolari di depositi per la quota eccedente i 100.000 euro; v) il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail in al posto dei depositanti protetti.
La banca sottoposta a risoluzione ha la possibilità di ricevere un aiuto esterno tramite l’intervento di un Fondo di risoluzione, previsto dalla normativa. Il Fondo può intervenire a condizione che a) i detentori di passività ammesse al bail in abbiano contribuito per almeno l’8% delle passività totali e b) il contributo del Fondo non superi il 5% delle passività totali. La direttiva BRRD prevede che, in via eccezionale, sia possibile erogare ulteriori aiuti oltre a quelli del Fondo di risoluzione (Laviola, Loiacono, Santella, 2015). Ma gli aiuti sono possibili solo in caso di crisi sistemica e devono sottostare a una serie di vincoli. In sintesi: la quasi eliminazione delle possibilità degli aiuti di Stato rende la garanzia implicita offerta dallo Stato stesso molto indebolita, meno estesa e più incerta. Veniamo adesso alla moneta bancaria. E’ noto che nei sistemi economici coesistono due generi monetari: la moneta legale e la moneta bancaria, costituita essenzialmente dai saldi dei depositi in c/c giacenti presso le banche. La moneta legale circola in virtù di un atto d’imperio dello Stato, la moneta bancaria circola sulla base delle fiducia. Ossia la fiducia del depositante di poter convertire in qualsiasi momento la moneta bancaria in moneta legale secondo un rapporto di 1 a 1. Il presupposto della fiducia non riguarda solo la singola banca presso la quale è detenuta la moneta, ma riguarda il sistema bancario. E’ condivisa l’opinione che stabilità e solidità del sistema bancario dipendano in larga misura dalla fiducia dei depositanti. Il sistema bancario per essere stabile deve essere solido, ma questo non basta: deve anche essere giudicato solido dai depositanti e dagli altri operatori economici. E’ utile ricordare che nell’area Euro il circolante ammonta a 1089 miliardi; i depositi in c/c ammontano a 6301 miliardi. Secondo gli ultimi dati della BCE (riferiti a marzo 2017) dunque, il rapporto “circolante/depositi in c/c” era pari al 17,3%. E’ utile anche precisare che la maggior parte dei pagamenti, misurato in termini di controvalore scambiato, è effettuato in moneta bancaria.
Moneta legale e moneta bancaria Con l’avvento dell’euro la moneta legale è divenuta unica e la sua gestione è stata affidata un unico soggetto, la BCE. Invece, la moneta bancaria ha continuato a essere regolata su base nazionale, ovvero è rimasta frammentata. In conseguenza della grande crisi finanziaria si è cercato di completare il progetto di unione bancaria e di unione monetaria. Una parte importante del progetto riguarda la protezione accordata ai depositi bancari. Forme di protezione dei depositi e dei depositanti esistono da moltissimo tempo in tutti i gli ordinamenti giuridici. L’innovazione del quadro normativo derivante dal recepimento della direttiva sulle crisi bancarie ha costretto gli studiosi a interrogarsi nuovamente sui motivi che giustificano le diverse forme di protezione. Con riferimento al caso italiano si parte sempre dall’art. 47 della Costituzione e dalla tutela del risparmio, in particolare dalla tutela del risparmio “inconsapevole”. Esiste, tuttavia, un altro motivo che giustifica l’esigenza di una tutela, ovvero la necessità di tutela della moneta. La moneta bancaria svolge un ruolo cruciale per un ordinato svolgimento dei rapporti economici e in particolare per il buon funzionamento del sistema dei pagamenti. Il sistema dei pagamenti è alla base del corretto funzionamento di un economia di scambio. Malfunzionamenti o crisi nel sistema dei pagamenti avrebbero ripercussioni gravissime sull’intero sistema economico. Esiste un interesse pubblico che giustifica la necessità di tutelare la moneta e la moneta bancaria. Il detentore di moneta bancaria non è necessariamente un risparmiatore inconsapevole. Nel senso che non è necessariamente un risparmiatore e non è necessariamente inconsapevole. Eppure il detentore di moneta bancaria merita, comunque, tutela, anche se il grado di tutela può essere diverso rispetto a quello offerto al depositante inconsapevole. Richiamo, inoltre, l’attenzione sul fatto che da alcuni anni è in vigore un limite all’utilizzo dei contanti (ovvero della moneta legale) nelle operazioni di pagamento. Attualmente questo limite è pari a 3.000 euro. Sorge spontanea allora la domanda: ma quale delle due monete (legale o bancaria) ha corso forzoso? Per pagamenti di importo superiore a 3.000 euro la moneta legale è vietata dalla legge. Quindi la moneta bancaria ha corso forzoso, in tale ipotesi. Qualcuno (Mottura, 2012), partendo dalla considerazione che il garante della moneta è lo Stato, arriva provocatoriamente a dire che la moneta bancaria è di fatto assimilabile al debito pubblico. Non proseguo nella provocazione, ma credo sia evidente che per poter assolvere pienamente alla propria funzione la moneta bancaria deve essere considerata priva di rischio. Sorgono allora altre domande. La nuova disciplina cambia qualcosa sotto il profilo del rischio della moneta bancaria? Se cambia qualcosa, quali possono essere le conseguenze per gli operatori e per il mercato? Esaminiamo distintamente la situazione, in caso di crisi, dei 1) depositi protetti e 2) degli altri depositi, eccedenti i 100.000 euro.
Le diverse situazioni in caso di crisi I depositi protetti sono quelli coperti dalla garanzia del Fondo Interbancario di Tutela dei depositi (FITD). Sono i più sicuri, anche se lo stesso direttore generale del FITD ha dichiarato che in caso di dissesto di una grande banca il Fondo potrebbe non avere risorse sufficienti per coprire tutti i depositi assicurati. E’ un’eventualità remota però chiediamoci per quale motivo non esiste ancora un Sistema Unico di Assicurazione dei depositi a livello Europeo. Conosciamo la risposta: i singoli Sistemi nazionali (alcuni più di altri) non vogliono correre il rischio di dover pagare per coprire le perdite generate da sistemi bancari di altri Stati dell’Unione.Da un lato è un comportamento comprensibile. Dall’altro lato l’UE lancia al mercato e ai risparmiatori (anche quelli meno avveduti) un messaggio molto chiaro: il rischio dei depositi e della moneta bancaria non è zero e la moneta bancaria non è omogenea. Un deposito presso una banca francese o tedesca non è esattamente equivalente a un deposito presso una banca italiana, greca, portoghese o spagnola (e le differenze esistono anche tra banche appartenenti allo stesso Paese). Più si tarda nella creazione di un sistema unico e più il messaggio diventa forte. Spingiamoci oltre. Se controlliamo il sito internet della FDIC, l’agenzia federale di assicurazione dei depositi statunitense, troviamo scritto che: “FDIC deposit insurance is backed by the full faith and credit of the United States government. This means that the resources of the United States government stand behind FDIC-insured depositors”. Supponiamo che si riesca a costituire un unico sistema di garanzia dei depositi a livello europeo. Certamente sarebbe un ottimo risultato. Ma il nuovo sistema potrà presentarsi ai depositanti con una frase equivalente a quella usata dalla FDIC? No, credo che almeno inizialmente il Nuovo Sistema potrà contare solo su stesso. Anche questa è una differenza tra UE e USA. Consideriamo adesso i depositi eccedenti i 100.000 euro. Oltre i 100.000 euro il depositante si espone a un livello di rischio superiore rispetto al deposito protetto. Anche i detentori dei depositi non protetti dovrebbero contribuire a esercitare la disciplina di mercato e contribuire al monitoraggio delle banche. Se il rischio è basso, ma diverso da zero, gli operatori possono modificare le loro valutazioni di convenienza. Le grandi imprese sono in teoria in grado di effettuare un monitoring, ma il monitoring è costoso: qualcuno all’interno dell’organizzazione deve essere specificamente adibito alla valutazione del rischio banca. Sono possibili comportamenti alternativi. Depositanti grandi e piccoli possono semplicemente decidere di spostare i propri depositi. Gli spostamenti possono avvenire all’interno del sistema bancario nazionale, oppure tra sistemi dell’area euro, oppure è possibile cercare di individuare banche al di fuori dell’area euro, soggette a regole diverse e ritenute più solide. Però la solidità varia nel tempo: la raccolta bancaria rischia allora di diventare più instabile. Una raccolta più instabile è fonte di maggiori costi e di maggiori rischi per le banche. Non è facile esercitare la disciplina del mercato per operatori non consapevoli o poco consapevoli. Il volume della raccolta potrebbe anche diventare più sensibile ai “rumors”.
Conclusioni La nuova disciplina incentiva il mercato a valutare più attentamente il rischio delle banche e a discriminare con maggiore intensità il costo dei diversi strumenti di raccolta delle banche. Ciò si potrebbe tradurre in aumento del costo di una parte significativa della raccolta delle banche. Tutto questo non è necessariamente un male. Probabilmente è vero che prima il rischio non era prezzato adeguatamente. Quando un rischio non è prezzato si presentano conseguenze indesiderate in termini di azzardo morale e di allocazione delle risorse. C’è anche un secondo aspetto che voglio sottolineare. Tenendo presente tutte le precedenti osservazioni, è legittimo prendere almeno in considerazione la seguente domanda. La nuova disciplina delle crisi bancarie può contribuire ad aumentare il rischio sistemico? Se effettivamente c’è un aumento del rischio sistemico il mercato modifica le proprie valutazioni. Il mercato “prezza” il rischio sistemico con riflessi sui prezzi delle azioni e delle obbligazioni delle banche e non solo delle banche. Basta un aumento anche di pochi centesimi del costo del capitale di rischio e del costo delle obbligazioni (subordinate e non) per avere effetti sui contribuenti e sui non contribuenti. Il rischio ha un costo. Vivere in un sistema economico più rischioso implica maggiori costi. Alla fine i contribuenti pagano comunque: poco alla volta con la nuova normativa (anche in assenza di crisi bancarie), quando si manifesta una crisi con la vecchia. Quali indicazioni trarre allora? Da un lato completare l’Unione Bancaria e giungere alla costituzione di un sistema comune di garanzia dei depositi. Dall’altro qualche modifica alla disciplina esistente. Per esempio consentire almeno una maggior flessibilità degli aiuti di Stato quando vi sono timori che una crisi possa estendersi alla moneta bancaria. La semplice statuizione di questa maggiore flessibilità contribuirebbe ex ante a diminuire il rischio sistemico e quindi anche a diminuire il costo per i contribuenti.
Bibliografia citata
Laviola S., Loiacono G., Santella P., “Il nuovo regime europeo di risoluzione delle crisi bancarie: un’analisi comparata dell’applicazione del bail-in”, Bancaria, dicembre 2015.
Mottura P., “La banca di credito e di deposito. La stabilità monetaria e le ragioni di una regolamentazione «speciale»”, Bancaria, dicembre 2012.
Stanghellini L., “Risoluzione, bail-in e liquidazione coatta: il processo decisionale”, Analisi Giuridica dell’Economia, Fascicolo 2, dicembre 2016.
Questo è il testo dell’intervento del Prof. Danilo Drado all’incontro “Economia del territorio: dalla ricerca alla divulgazione delle conoscenze” tenutosi il 9 Maggio 2017 all’Università della Calabria