La Calabria, al pari delle altre regioni del Mezzogiorno, sta vivendo una fase di notevole declino demografico. Lo spopolamento è un fenomeno che comporta gravi rischi per la società. Innanzitutto, non è un processo uniforme su tutto il territorio, ma interessa soprattutto le aree montane ed interne. In questi territori marginali, esso si traduce spesso in una perdita di tradizioni, memoria ed identità locali e nella disgregazione (col rischio di scomparsa) di intere comunità locali. Dal punto economico, poi, la perdita di popolazione su un territorio determina la scomparsa di gran parte dell’economia locale (per effetto della diminuzione della domanda di beni e servizi) e, naturalmente, un disincentivo all’avvio di nuove attività economiche ed imprenditoriali. Inoltre, un territorio che si spopola rappresenta un deterrente anche all’investimento in servizi (si pensi, ad esempio, agli asili in aree caratterizzate da forte spopolamento e forte invecchiamento demografico). Infine, l’abbandono dei territori si traduce anche in una perdita della fisiologica funzione di “controllo antropico” del territorio, con una crescente disorganizzazione di governo e un’accentuazione dei fenomeni di abbandono delle abitazioni, degrado dei centri storici, dissesto idrogeologico.
Lo spopolamento: cause naturali e sociali
Il declino demografico ha una causa naturale, dovuta alla dinamica di nascite e decessi, ed una sociale, dovuta alla dinamica di immigrazioni ed emigrazioni. Tutto il Mezzogiorno (Tabella 1) ha attualmente una dinamica naturale negativa, con un valore del tasso di crescita naturale al 2016 pari al -1,7‰. Anche il Nord e il Centro presentano una dinamica naturale negativa che però, a differenza del meridione, è compensata da una dinamica migratoria positiva che fa sì che entrambe le ripartizioni si mantengano quasi a crescita zero (tasso di incremento totale pari a -0,5‰ al Nord e -0,1‰ al Centro). Nel Meridione, invece, al tasso di crescita naturale negativo (-1,7‰) si affianca un tasso di crescita migratorio anch’esso negativo (-1,3‰) che si traduce in una decrescita complessiva del -3‰ nel 2016.
Il dato sul Mezzogiorno è, peraltro, destinato a peggiorare se si considera che da qualche anno si è realizzata un’inversione della geografia della fecondità nel nostro paese (in ragione della quale si fanno più figli al Nord che al Sud), mentre al contempo si va verso una convergenza in termini di aspettativa di vita. Pertanto, plausibilmente tra qualche anno (come prevedono anche gli scenari Istat) il tasso di incremento naturale delle aree meridionali tenderà a divenire ancora più sfavorevole, raggiungendo e superando quello delle altre aree del paese.
Analizzando i dati dettagliati delle singole regioni meridionali, si rileva in tutte una crescita demografica negativa, guidata in primis da una dinamica naturale molto sfavorevole. Inoltre, si osserva che, ad esclusione dell’Abruzzo e della Sardegna (che hanno una dinamica migratoria leggermente positiva, prossima allo zero), tutte le altre regioni hanno una dinamica migratoria negativa con valori che variano dal -0,3‰ del Molise al -2‰ della Basilicata. Concentrandosi sulla nostra regione, la Calabria presenta un tasso di incremento migratorio pari al -1,1‰ che va ad aggravare la dinamica naturale già negativa (-1,6‰) determinando, dunque, nel corso dell’ultimo anno, una perdita netta di quasi 3 abitanti per ogni mille residenti sul territorio calabrese.
E’, dunque, chiaro che il problema dello spopolamento, che ha la sua radice in una natalità sempre più ridotta che non compensa la mortalità, è aggravato da una dinamica migratoria anch’essa decisamente avversa. Nella figura 2, si prova ad entrare maggiormente nel dettaglio per comprendere quali siano le componenti che più incidono su tale andamento migratorio. In tutte le regioni, seppure con valori variabili, il tasso di incremento migratorio con l’estero è positivo: questo vuol dire che, in ciascuna regione, vi sono più persone che si iscrivono dall’estero rispetto al numero di abitanti che si cancella per l’estero. Ma se si guarda al dato sul tasso di incremento migratorio per dinamica interna (cioè spostamenti da e verso altre regioni di Italia) emerge chiaramente che in tutte le regioni meridionali il numero di emigrati verso altre regioni è di gran lunga superiore a quello degli immigrati da altre regioni, con conseguente saldo negativo di questa componente della crescita migratoria. In Calabria, nello specifico, a fronte di un saldo migratorio per mille abitanti dall’estero pari a 3,1‰, si registra un saldo migratorio interno del -3,7‰ che, unito alla quota residuale del saldo migratorio per altri motivi, determina un decremento complessivo migratorio di -1,1 abitanti per ogni mille.
Riflessioni
Lo spopolamento non può essere inteso solo come mero abbandono dei territori marginali, ma come un progressivo processo di depauperamento di risorse umane e sociali e, di conseguenza, un limite ai processi di crescita, sviluppo, qualificazione e sostenibilità territoriale. La Calabria sta vivendo una fase di intenso spopolamento, al pari di tutte le altre regioni meridionali. Le cause della diminuzione progressiva della popolazione vanno ricercate innanzitutto in una dinamica naturale molto negativa: in tutte le regioni, i tassi di natalità sono troppo bassi per compensare i tassi di mortalità. Questa dinamica naturale sfavorevole è comune anche alle altre regioni del centro e del nord del paese che, però, beneficiano di tassi di incremento migratorio positivi – sia nella componente con l’estero che in quella interna – in grado di bilanciare e compensare lo squilibrio naturale. Dunque, ad aggravare la situazione del Meridione e della Calabria contribuiscono in larga parte anche le dinamiche migratorie. La nostra regione non è attrattiva per i flussi migratori esteri (gran parte dei quali sono di passaggio) e, al contempo, perde flussi consistenti di popolazione (soprattutto giovani ad alta qualificazione) che decidono di spostarsi in larga parte verso le regioni del Nord e, in misura minore ma comunque non trascurabile, verso l’estero.
Non bisogna dimenticare che i processi di spopolamento riguardano, in particolare, le aree interne che perdono, così, le componenti più vive, giovani, qualificate e produttive della propria popolazione, divenendo spesso aree “fantasma” caratterizzate da elevato invecchiamento demografico e abbandono. E’ evidente che tale dinamica demografica sfavorevole non faccia altro che aggravare la già difficile situazione socio-economica della nostra regione. Sarebbe, dunque, necessario prenderne atto e porre in essere interventi di politica sociale adeguati che lavorino congiuntamente su più aspetti: riqualificazione delle aree interne, integrazione dei migranti, inserimento lavorativo dei giovani e delle donne, investimenti sui territori al fine di sostenere le imprese presenti, rilanciarne l’attrattività economica e migliorarne i servizi. In assenza di politiche serie ed integrate su tutti questi aspetti, sarà impossibile fermare la spirale negativa ingenerata dallo spopolamento. Interi paesi, intere comunità della nostra regione sono destinate a sparire nell’arco di 40-50 anni, al massimo.