L’andamento secolare degli indicatori epidemiologici ben sintetizza i cambiamenti negli standard di salute della popolazione. Quest’articolo mostra l’andamento dei tassi di mortalità generale e infantile in Italia dall’Unità nazionale (1861) al 2020. Il trend decrescente della mortalità è stato interrotto da alcuni eventi, in particolare dalle epidemie di colera del 1867 e dalla pandemia influenzale del 1918, quando la mortalità raggiunse il picco di 35 morti per 1.000 persone. Nel 2020, la pandemia da covid-19 ha aumentato il tasso di mortalità a 12,5 decessi ogni 1.000 persone rispetto ai 10,6 dei cinque anni precedenti, corrispondenti a 100.526 decessi in eccesso. Scarica il PDF
1. Introduzione
L’andamento secolare degli indicatori epidemiologici sintetizza efficacemente «la grande fuga» (per citare il titolo di un bel libro di Angus Deaton) dalla miseria, dalla malnutrizione e dalla morte precoce che, in passato, erano la norma nelle nazioni oggi più avanzate come l’Italia. Il miglioramento nelle condizioni di vita in Italia si può racchiudere in un dato: nel 1861 l’aspettativa di vita alla nascita era di circa 30 anni, non dissimile da quella della Roma dei tempi di Augusto, cioè di duemila anni fa; oggi, l’aspettativa di vita ha raggiunto gli 82 anni ed è tra le più elevate al mondo.
Nei paragrafi seguenti si esamina l’andamento del tasso di mortalità generale e di quello infantile in Italia dall’Unità al 2020. Per il tasso di mortalità infantile si riportano anche i dati regionali. Riflettendo le condizioni sanitarie e socioeconomiche della popolazione, entrambi gli indicatori sono utili misure del progresso compiuto dal paese nei centosessant’anni di storia unitaria.
2. Il declino del tasso di mortalità
Il tasso di mortalità generale, dato dal numero di decessi ogni mille persone, è un importante indicatore delle condizioni di salute della popolazione. Il suo andamento nei centosessant’anni dall’Unità è illustrato dalla figura 1. Nel 1862, si verificarono 815 mila decessi su una popolazione di 26.328.000 abitanti (considerando l’Italia ai confini attuali), cioè 30 morti ogni mille abitanti (Istat, 1965, 2011). Nei successivi vent’anni, il tasso di mortalità si mantenne stabile, se si esclude l’impennata causata dall’epidemia di colera del 1865-67 che, nel complesso, fece 160.500 vittime, di cui 128 mila nell’ultimo anno (Sormani, 1881). Dai primi anni Ottanta, la mortalità cominciò a declinare, raggiungendo i 18 morti ogni mille abitanti alla vigilia della Prima guerra mondiale.
Nel 1918, l’Italia – come il resto del mondo – fu funestata dall’influenza «spagnola», causata dal virus a Rna del tipo A H1N1 che, si stima, causò circa 466 mila vittime (Fornaciari, 2020). Secondo altre stime, le morti in eccesso durante la pandemia, in confronto al resto del periodo 1906–1922, furono 544.288 (Ansart et al., 2009). Tra i paesi europei, l’Italia fu quello più colpito. Considerando che la popolazione era di circa 38 milioni, la spagnola causò, nel complesso, la morte dell’1,2% degli italiani. In quell’anno, anche in conseguenza della guerra, il tasso di mortalità raggiunse i 35 morti ogni mille abitanti, il più alto della storia unitaria italiana; poi calò rapidamente, fino al 14 per mille del 1940. Con la Seconda guerra mondiale, la mortalità aumentò di nuovo, toccando il 18 per mille del 1943, anno in cui l’Italia firmò l’armistizio.
Negli anni Cinquanta, grazie alle scoperte della medicina e al rapido miglioramento del tenore di vita e delle condizioni igienico-sanitarie, il tasso di mortalità raggiunse i valori più bassi mai registrati nel nostro paese. La diffusione degli antibiotici, in particolare di penicillina e streptomicina, rappresentò una vera e propria rivoluzione terapeutica. Molte malattie infettive, come polmonite, endocardite, setticemie, sifilide e tubercolosi, che fino ad allora erano state tra le principali cause di morte divennero, insieme con altre, curabili con relativa facilità (Cosmacini, 2016). Progressi sempre più rapidi avvennero in tutte le branche della medicina.
Dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso ad oggi, il tasso di mortalità generale è rimasto sostanzialmente invariato. Attenzione, però: la mortalità è influenzata dalla composizione per età della popolazione. Si consideri, per esempio, che nel 1862 si contavano 12 ultrasessantacinquenni per cento bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni, mentre nel 2020 se ne contavano 182. Se calcolassimo il tasso di mortalità tenendo conto dei mutamenti nella struttura demografica (cioè standardizzandolo per età), vedremmo ulteriori miglioramenti nello stato di salute della popolazione anche nei periodi più recenti (Atella et al., 2011).
Nel quinquennio precedente la pandemia da coronavirus, la mortalità in Italia è stata di poco superiore al 10 per mille: circa 645 mila morti annui su una popolazione di 60 milioni. Nel 2020, la pandemia ha aggiunto 100.526 morti in più alla media del quinquennio precedente; nel 2021 (dati al mese di novembre), l’eccesso di mortalità è stato di 51 mila morti. Questa «mortalità in eccesso» dovuta al covid-19, include anche i decessi dovuti alla congestione del sistema sanitario, conseguenza indiretta della pandemia. Nel 2020, il tasso di mortalità è stato del 12,5 per mille, un valore analogo a quello registrato nel 1946 quando, però, la demografia italiana era differente dall’attuale.
3. La grande vittoria: il declino della mortalità infantile
Nell’Italia dell’Ottocento, come nelle altre nazioni, si moriva soprattutto di malattie infettive: difterite, febbre tifoide, morbillo, pertosse, broncopolmoniti, ma anche tubercolosi e malaria falciavano annualmente migliaia di vite (Istat, 1958). Le pessime condizioni igieniche e la nutrizione scarsa e sbilanciata aggravavano il quadro epidemiologico. Altissima la mortalità dei bambini. Sui circa 760 mila morti registrati nel 1863 in Italia, quasi la metà (374.400) erano bambini tra 0 e 4 anni!
Negli anni 1863-66, per ogni mille neonati, 226 morirono entro il primo anno di vita (Istat, 1965, 1975). Tassi di mortalità infantile simili a quello italiano, o anche più elevati, si registravano in Austria, nel Baden, in Sassonia e in Spagna, mentre erano inferiori in Inghilterra, Norvegia e Svezia (MAIC, 1880; Corsini e Viazzo, 1997).
Come mostra la figura 2, la mortalità infantile cominciò a declinare negli anni Ottanta dell’Ottocento, quando scese al di sotto dei 200 morti ogni mille nati. Nel 1914, aveva raggiunto il 130 per mille. L’influenza spagnola causò un brusco aumento: nel 1918-‘19 la mortalità nel primo anno di vita fu di 187 morti ogni mille nati. Secondo alcune stime, la spagnola causò la morte di 15 mila bambini con meno di un anno e di 60 mila tra quelli con un’età compresa tra 1 e 4 anni (Pinnelli e Mancini, 1999, p.109).
Negli anni seguenti, la mortalità infantile continuò a declinare. Raggiunse i 100 morti ogni mille nati negli anni Trenta del secolo scorso e i 50 ogni mille alla metà degli anni Cinquanta. Dopo soli quarant’anni, negli anni Novanta, la mortalità infantile era ormai del cinque per mille. Oggi, i bambini che muoiono entro il primo anno sono poco meno di tre su mille (la maggior parte dei decessi si registra entro un mese dalla nascita).
La tabella 1 riporta i tassi di mortalità infantile nelle regioni italiane, per alcuni anni, dal 1863 al 2018. Si nota come nel primo periodo post-unitario nelle regioni meridionali la mortalità fosse generalmente inferiore rispetto a quelle del Centro-Nord. In Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, ma anche in Umbria nelle Marche, un bambino su quattro moriva entro il primo anno. Il declino della mortalità interessò tutto il paese, ma fu, però, più lento nel Mezzogiorno: di conseguenza, si formò un divario tra le due aree.
Il divario si accentuò nel periodo tra le due guerre, in quella che fu una fase di divergenza economica tra Nord e Sud (Atella et al., 2011; Daniele, 2019). Alla metà degli anni Cinquanta, i bambini che morivano entro il primo anno erano 80 in Basilicata, 70 in Puglia, 62 in Campania e Calabria, a fronte dei circa 40 della Liguria, del 36,7 del Veneto, dei circa 36 dell’Emilia. Un divario che rifletteva quello socioeconomico che, in quegli anni, aveva raggiunto la sua massima ampiezza.
Pur in un quadro complessivo di bassissima mortalità infantile (analogo a quello di altri paesi avanzati), ancora oggi si riscontrano differenze tra nord e sud. Nel 2018, nel sud e nelle isole, la mortalità infantile era, rispettivamente, del 3,4 e del 3,7 per mille, a fronte del 2,5 per mille del resto del paese, con valori del 4 per mille in Calabria e Sicilia. Disparità spiegate, in parte, da fattori sociali ed economici, ma anche dalle differenze organizzative nei sistemi sanitari regionali (De Bartolo, 2018; Simeoni et al., 2019; Stranges, 2019).
La diminuzione della mortalità infantile, “una delle più straordinarie vittorie che l’umanità abbia conosciuto” (Masuy Stroobant, 1997, 26), ha avuto un ruolo fondamentale nel declino della mortalità generale e nella transizione epidemiologica che ha caratterizzato l’Italia come gli altri paesi occidentali.
L’Italia è, negli ultimi anni, ai primi posti nella graduatoria mondiale per aspettativa di vita alla nascita. L’aumentata longevità e la bassa natalità sono alla base dell’invecchiamento demografico che interessa il paese. Con un’età mediana di 47,3 anni, la popolazione italiana è, dopo quella giapponese, la più anziana al mondo (United Nations, 2019; Reynaud e Miccoli, 2019). L’invecchiamento della popolazione ha profonde conseguenze sul mercato del lavoro, sui sistemi previdenziali, assistenziali e di cura e si riflette anche sulla crescita economica. Quelli demografici sono cambiamenti strutturali che, ineludibilmente, richiederanno adattamenti economici e istituzionali.
Riferimenti bibliografici
- Ansart S., Pelat C., Boelle P.-Y., Carrat F., Flahault A., Valleron A.-J. (2009), “Mortality burden of the 1918–1919 influenza pandemic in Europe”, Influenza and Other Respiratory Viruses, 3, 99-106.
- Atella V., Francisci S., Vecchi G. (2011), “Salute”, in: G. Vecchi, In ricchezza e povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità a oggi, il Mulino, Bologna.
- Corsini C. A., Viazzo P. P. (1997), The decline of infant and child mortality. The European experience: 1750-1990, Unicef, Martinus Nijhoff Publisher, Norwel.
- Cosmacini G. (2016), Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste nera ai nostri giorni, Laterza, Bari-Roma.
- Daniele V. (2019), Il paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli.
- De Bartolo G. (2018), “Alcune considerazioni sulle speranze di vita per regione e livello di istruzione”, Regional Economy, 2, Q1, 8-10.
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- Istat (1965), “Sviluppo della popolazione italiana dal 1861 al 1961”, Annali di Statistica, 94, vol. 17, (Istituto Centrale di Statistica), Roma.
- Istat (1975), “Tendenze evolutive della mortalità infantile in Italia”, Annali di Statistica, 104, vol. 29, (Istituto Centrale di Statistica), Roma.
- Istat (2011), L’Italia in 150 Anni. Sommario di statistiche storiche 1861-2010, Istat, Roma.
- MAIC – Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio (1880), Movimento dello stato civile. Anni 1862-78. Introduzione, Tipografia Cenniniana, Roma.
- Masuy Stroobant, G. (1997), “Infant health and infant mortality in Europe: lessons from the past and challenges for the future”, in: C. A. Corsini, P. P. Viazzo (eds.), The decline of infant and child mortality. cit., pp. 1-34.
- Pinnelli A., Mancini P. (1999), “Il declino della mortalità infantile e giovanile in Italia tra le fine ‘800 e inizio ‘900: un cammino interrotto da periodi difficili”, Historia Contemporánea, n.18, 89-127.
- Reynaud C., Miccoli S. (2019), “Population ageing in Italy after the 2008 economic crisis: A demographic approach”, Futures, 105, 17-26.
- Simeoni S., Frova L., De Curtis M. (2019), “Inequalities in infant mortality in Italy”, Italian Journal of Pediatrics, 45, 11, https://doi.org/10.1186/s13052-018-0594-6
- Sormani, G. (1881), “Geografia nosologica dell’Italia”, Annali di Statistica, Serie 2, vol. 6, Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione di Statistica, Botta, Roma.
- Stranges M. (2019), “Longevità e salute. Quali rischi per la Calabria?” Regional Economy, 3, Q2, 12-18.
- United Nations (2019), Department of Economic and Social Affairs, Population Division. World Population Prospects 2019, Online Edition. Rev. 1