Si sostiene da più parti che siamo in guerra. Ci sono almeno tre elementi che rendono questa situazione diversa dalle guerre passate e presenti.
- Si combatte contro un nemico invisibile e sostanzialmente senza armi.
- Mentre nelle guerre classiche lo sforzo bellico determina il pieno impiego delle risorse, il coronavirus ha costretto da alcuni mesi interi paesi a smettere di produrre, e miliardi di persone a chiudersi in casa.
- La dimensione e le caratteristiche di questa situazione non ha eguali nel passato, e coinvolge contemporaneamente molti paesi.
In altri termini, siamo di fronte ad uno shock simultaneo di domanda e di offerta in tutto il mondo che non ha precedenti nella storia, con esiti imprevedibili. Lo ha espresso chiaramente con il cinismo che lo contraddistingue il Presidente degli Stati Uniti, quando ha dichiarato che tra 15 giorni il lockdown sarà finito, non per la sconfitta del coronavirus, ma perché sostanzialmente la scelta è tra morti per l’infezione e morti per i suicidi, determinati da un possibile crollo dell’economia americana.
Se non si vuole che questa guerra abbia esiti paragonabili a quelli del 1929 è necessario agire subito, ed impedire che milioni di lavoratori diventino disperati, perché vedono venir meno i loro mezzi di sostentamento. Questo concetto è stato espresso con forza da Mario Draghi nei giorni scorsi.
Come evitare che milioni di persone, che oggi sopportano disciplinatamente le misure del governo, domani (tra un mese?) scenderanno in piazza e prenderanno d’assalto i simboli del potere politico ed economico, perché avranno perso la loro fonte di sostentamento e saranno pure sopraffatti dai debiti? Occorre essere consapevoli che questo può diventare uno scenario realistico, se l’Italia e gli altri paesi non metteranno in campo misure inedite, tempestive ed adeguate.
La misura più urgente è quella di fornire nel giro di due-tre settimane tutta la liquidità necessaria ad imprese e lavoratori per consentirgli di stare in piedi, in uno scenario in cui si prevede una forte contrazione della domanda mondiale nei mesi e negli anni a venire. È la consapevolezza che questa guerra si può perdere senza nemmeno avere il tempo di reagire, che ha indotto Mario Draghi a proporre di derogare alle regole che caratterizzano la concessione di prestiti da parte delle banche, per consentire di rendere disponibile nell’immediato la liquidità di cui c’è bisogno.
Ma cosa fare se le banche italiane non si renderanno disponibili a fornire in tempi rapidi la liquidità necessaria a tassi zero, sia pure a fronte di una garanzia pubblica, come propone Draghi? Cosa fare se gli interventi della BCE e delle altre banche centrali con l’acquisto illimitato di titoli pubblici non saranno sufficiente ad impedire il crollo dei mercati finanziari, perché gli operatori si aspettano comunque un crollo dell’economia reale?
Le alternative sono almeno tre.
- La Banca Centrale Europea interviene direttamente a sostegno dell’economia reale con una qualche forma di helicopter money, fornendo la liquidità necessaria alle imprese per sopravvivere, magari a fronte di una garanzia pubblica degli Stati membri interessati.
- La Banca Centrale Europea si dichiara disponibile a finanziare al salario orario di 7 euro per 35 ore lavorative settimanali lavori offerti dagli Stati membri nei vari settori di competenza dell’amministrazione pubblica. L’organizzazione, il monitoraggio e la valutazione di questa politica potrebbero essere implementati interattivamente tra Stati membri e la Commissione Europea, in modo analogo a come vengono attuate le politiche strutturali dell’Unione Europea; mentre la BCE manterrebbe l’indipendenza e la sovranità nel determinare l’ammontare e le condizioni per l’impiego, nonché l’autorità di monitorarne l’attuazione, per impedire frodi e abusi.
- L’Unione Europea emette coronabonds, per finanziare le imprese in difficoltà, ed impedire che la recessione in Europa assuma proporzioni devastanti.
Lasciare all’Italia, alla Spagna e agli altri paesi più colpiti la risposta alla crisi sarebbe come decretare che l’Unione Europea non esiste più, con tutte le conseguenze di una nuova ondata di nazionalismi, analogamente a quanto è avvenuto dopo la crisi degli anni ’30 del secolo scorso.
Il coronoavirus non è solo una minaccia per l’economia, ma anche per la democrazia. Innanzi tutto perché la perdita simultanea di milioni di posti di lavoro può determinare reazioni che possono travolgere anche le istituzioni democratiche. Bene hanno fatto i governi italiano e spagnolo a non firmare il documento congiunto dell’Eurogruppo. Altrettanto preoccupante è la mancanza di una risposta rapida e corale da parte del Fondo Monetario Internazionale, delle banche centrali e dei governi dei paesi occidentali, diversamente da quanto è avvenuto durante e dopo la crisi del 2007-2008. Comunque, il governo italiano deve dimostrare di essere pronto a sostituirsi alle istituzioni europee e mondiali, perché è meglio rischiare di morire di debiti domani piuttosto che far scorrere oggi il sangue nelle strade.