Il decreto legge infrastrutture approvato lo scorso 2 settembre ha sbloccato i 4,6 miliardi del “fondo per la perequazione infrastrutturale” istituito dalla legge di bilancio 2021. Con una certa enfasi la Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, ha definito la norma una svolta storica perché porrebbe fine a 12 anni di ritardo nell’iter attuativo della legge 42 del 2009 (“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”), la “legge Calderoli”, che subordinava il processo di devolution regionale al rafforzamento della funzione perequativa dello Stato centrale da realizzarsi con una politica nazionale capace di colmare gli squilibri tra territori nella dotazione di infrastrutture e nell’offerta di servizi. Un’enfasi che lascia alquanto perplessi per tre motivi.
Innanzitutto è molto discutibile assimilare il nuovo fondo ad un passo in avanti verso l’attuazione del federalismo fiscale. L’art. 22 della Calderoli, sul quale interviene il provvedimento in questione, aveva introdotto una forte discontinuità rispetto al passato in tema di perequazione infrastrutturale: partire dalla rilevazione dei deficit, definire i fabbisogni per poi individuare le priorità degli interventi nei diversi territori e distribuire di conseguenza le risorse per finanziare le opere. Quella logica viene ora solo formalmente confermata prevedendo un’attività di ricognizione da parte del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (MIMS) delle infrastrutture statali (sanitarie, assistenziali, scolastiche, stradali e autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali e idriche), mentre per altre infrastrutture la ricognizione verrà eseguita dagli enti territoriali e dagli altri soggetti pubblici e privati competenti. Solo formalmente, perché nella sostanza a “mordere” è un tetto di spesa fissato ex ante (100 milioni di euro nel 2022, 300 dal 2023 al 2027, e 500 fino al 2033) che limita fortemente l’azione di perequazione territoriale che si vorrebbe favorire.
Si osserverà che la dotazione del fondo per la perequazione infrastrutturale si aggiunge ad altre ingenti risorse e ad altri strumenti disponibili per i prossimi anni a valere sul PNRR e sulla politica di coesione nazionale ed europea per il nuovo ciclo 2021-2027. Ma questo è un altro elemento di criticità. Il nuovo fondo complica ulteriormente una programmazione già molto frammentaria di risorse ordinarie e aggiuntive. E in un quadro ancora molto incerto sull’effettivo coordinamento delle diverse programmazioni che punti ad evitare le sovrapposizioni e valorizzare le complementarietà strategiche, finanziarie e attuative tra i diversi di governo. Finché questo quadro non verrà chiarito, il rischio concreto è quello di allontanarsi ulteriormente da un disegno coerente con il dettato dell’art. 119 della Costituzione, cioè una politica infrastrutturale unitaria orientata al riequilibrio territoriale.
Da ultimo va ricordato che il tema del finanziamento della perequazione infrastrutturale è intimamente connesso al dossier delle intese Stato-Regioni sulle richieste di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” avanzate in primis da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto in attuazione dell’art. 116 comma 3 della Costituzione, il cosiddetto regionalismo differenziato. Intese stoppate nel pre-pandemia perché irricevibili in assenza di una piena attuazione del modello di federalismo fiscale cooperativo della legge 42 del 2009. Il dossier è stato riaperto dalla Ministra per gli Affari regionali e le Autonomie, Mariastella Gelmini, con l’obiettivo di arrivare all’approvazione di una legge quadro entro l’anno a partire da quella proposta dall’ex Ministro Boccia che, in una prima versione, prevedeva proprio l’attivazione del “fondo per la perequazione infrastrutturale”, con la stessa dotazione di 4,6 miliardi, poi confluito nella legge di bilancio 2021. I sostenitori del regionalismo differenziato potranno perciò vedere nel via libera al nuovo fondo un passo in avanti verso l’autonomia: attuato l’art. 119 della Costituzione, ora si potrà andare avanti sulle richieste di maggiore autonomia regionale previste dall’art. 116 comma 3. Ma si tratterebbe di un’attuazione molto parziale e distorta per quanto già osservato. Per questo, oltre che non imprimere nessuna significativa accelerazione all’attuazione piena del federalismo fiscale, il nuovo fondo può diventare il grimaldello per aprire le porte a una forma di regionalismo alla quale la stessa Ministra Carfagna non ha risparmiato critiche.