Questo studio presenta un aggiornamento delle misure di qualità istituzionale disponibili a livello italiano. In particolare, la nostra ricognizione raccoglie 16 indicatori tratti dai lavori più noti e recenti tra quelli che, con riferimento all’Italia, consentono di misurare la qualità delle istituzioni e/o dell’azione pubblica con dettaglio territoriale. Sulla base di questi indicatori, il lavoro sintetizza i principali aspetti metodologici relativi alla misurazione di tale fenomeno, e fornisce un quadro descrittivo della qualità istituzionale nel confronto nazionale e internazionale*. Scarica il PDF
1. Introduzione
La qualità delle istituzioni rappresenta un fattore cruciale per il sistema economico[1]. Come documentato da numerosi lavori empirici (cfr. tra gli altri: Rodrik et al., 2004; Acemoglu et al., 2005), la qualità del contesto istituzionale gioca infatti un ruolo fondamentale nel generare le differenze nei livelli di prodotto pro capite osservate tra paesi. Essa può influenzare in diversi modi la crescita economica, sia direttamente attraverso la produttività dei territori, sia indirettamente modificando ad esempio gli incentivi ad accumulare capitale o investire in ricerca e innovazione. Anche a livello italiano, la qualità istituzionale è uno dei temi su cui più si è incentrato il dibattito di policy, tradizionalmente con riguardo al divario esistente tra aree all’interno del Paese (Cannari e Franco, 2010; Panetta, 2018), e più di recente con riferimento alla scarsa performance dell’economia italiana[2]. Data la rilevanza di tale fenomeno, la sua misurazione a livello territoriale risulta pertanto utile a documentare gli attuali divari esistenti nel nostro Paese, e a comprendere possibili limiti competitivi nel confronto internazionale a svantaggio delle aree caratterizzate da una bassa qualità istituzionale.
A livello empirico occorre tuttavia evidenziare come la qualità istituzionale sia un concetto difficile da misurare, data anche la complessità di tale fenomeno. Tra le varie dimensioni considerate dalla letteratura teorica, vi è innanzitutto la ripartizione tra istituzioni economiche e istituzioni politiche, laddove le istituzioni economiche determinano gli incentivi e i vincoli nei confronti degli operatori economici, mentre le istituzioni politiche determinano i vincoli e gli incentivi agli attori chiave nella sfera pubblica (Acemoglu et al., 2005). Inoltre, un’ulteriore rilevante caratterizzazione oppone le istituzioni formali presenti in un territorio (soggetti, ordinamenti giuridici, ecc.), alle istituzioni informali (quali le norme comuni di condotta e comportamento) che ne plasmano l’efficacia e quindi gli effetti che sono in grado di produrre (North, 1990). In particolare, in un contesto intra-nazionale le seconde possono produrre differenze anche più rilevanti delle prime, come osservato ad esempio nel caso italiano (Putnam, 1993).
Data la natura multidimensionale di tale concetto, risulta dunque utile usare diversi indicatori per misurare la qualità istituzionale di un territorio, dato che essi possono catturare dimensioni diverse dell’azione pubblica. In aggiunta, l’aggregazione delle informazioni mediante l’uso di indici compositi può aiutare a catturare meglio la variabile latente sottostante. A tale scopo, questo studio presenta un aggiornamento delle misure disponibili con dettaglio territoriale a livello italiano, aggiornando ed estendendo il precedente lavoro di Barone et al. (2017). Nello specifico, il paragrafo 2 presenta gli indicatori esaminati, il paragrafo 3 riporta un’analisi comparativa delle diverse misure di qualità istituzionale disponibili per l’Italia, il paragrafo 4 mostra le principali evidenze descrittive per il nostro Paese nel confronto internazionale, mentre il paragrafo 5 sintetizza le principali conclusioni dello studio.
2. Gli indicatori di qualità istituzionale in Italia
La nostra ricognizione raccoglie 16 indicatori tratti dai lavori più noti e recenti tra quelli che, con riferimento al caso italiano, consentono di misurare la qualità delle istituzioni e/o dell’azione pubblica con dettaglio territoriale[3]. In particolare, distinguendo tra semplici e compositi (quest’ultimi ottenuti aggregando le informazioni derivanti da più sub-indici), gli indicatori considerati sono i seguenti (le loro caratteristiche sono descritte in dettaglio nell’Appendice I)[4]:
A) Indicatori semplici: ADF1 – Arpaia, Doronzo e Ferro (2009); BM – Barone e Mocetti (2011); DG – D’Amuri e Giorgiantonio (2015); GIAT1 – Giacomelli e Tonello (2015); GIAT2 – Giacomelli e Tonello (2015); MO1 – Mocetti e Orlando (2017) semplice; DDR – De Angelis, de Blasio e Rizzica (2020); DV – Di Vita (2018); AGRS – Albanese, Galli, Rizzo e Scaglioni (2021)
B) Indicatori compositi: ADF2 – Arpaia, Doronzo e Ferro (2009); GTOM – Giordano e Tommasino (2013); CLD – Charron et al. (2014); NV – Nifo e Vecchione (2014); DS – Di Liberto e Sideri (2015); CM – Camussi e Mancini (2016); MO2 – Mocetti e Orlando (2017) composito
Oltre alla natura semplice/composita, tali indicatori si differenziano per una serie di caratteristiche. Innanzitutto, sebbene in molti casi gli indicatori siano riferiti alla qualità (CLD, CM, DS, NV) e all’efficienza (BM, DG, GTOM) nella produzione dei servizi pubblici, vengono considerati in letteratura vari altri aspetti, ad esempio i tempi dell’azione pubblica (GIAT1, GIAT2, DDR), il peso della regolamentazione (DV), il livello di corruzione (MO1, MO2), il grado di informatizzazione (ADF2) o il grado di trasparenza (ADF1, AGRS). Per quanto riguarda i dati utilizzati, gran parte degli indicatori impiega misure oggettive degli aspetti considerati; ve ne sono però alcuni che utilizzano dati soggettivi, cioè legati alla percezione del fenomeno tra i cittadini (CLD, CM, MO2). Infine, le misure si differenziano per livello geografico minimo di disponibilità: comune (BM, DG, GIAT1, GIAT2, DDR, AGRS); sistema locale del lavoro (CM, MO1, MO2); provincia (DS, GTOM, NV); regione (ADF1, ADF2, CLD, DV).
3. Principali evidenze descrittive
Barone et al. (2017) notava già come gli indicatori di qualità istituzionale offrano un’immagine diversificata della distribuzione spaziale del fenomeno. In questo aggiornamento, grazie alla maggiore numerosità degli indicatori considerati, è possibile esplorare ulteriormente tale questione considerando diversi livelli di aggregazione geografica (comuni, sistemi locali del lavoro, province, regioni).
Innanzitutto, considerando gli indicatori disponibili ad un livello spaziale più fine (comune), è possibile osservare che esiste un’ampia variabilità spaziale di tipo within-region: gli effetti fissi regionali sono in grado di spiegare solo una quota ridotta della varianza degli indicatori di qualità istituzionale (tra il 3 e il 16 per cento) [5]. Ciò potrebbe dipendere tuttavia in parte anche dalla natura degli indicatori, che nel caso delle variabili comunali sono esclusivamente di tipo semplice. La medesima analisi effettuata a livello di sistema locale del lavoro (SLL) mostra un’evidenza più variegata: nel caso dell’indicatore semplice MO1, la quota della varianza spiegata da effetti fissi regionali è pari al 15 per cento; nel caso degli indicatori compositi MO2 e CM, tale quota risulta pari rispettivamente al 97 e al 50 per cento.
La Tavola 1 presenta in dettaglio le correlazioni tra i singoli indicatori di qualità istituzionale, suddivisi in base al livello di aggregazione geografica originaria, nonché il loro legame con alcuni rilevanti fenomeni socio-economici. Da questa analisi emergono alcuni rilevanti evidenze. Innanzitutto, anche se spesso significative, le correlazioni tra indicatori sono generalmente basse, soprattutto a livello comunale. Tale risultato è ulteriormente confermato dalla Tavola 2, che si concentra solo sulla dimensione within-region, riportando le correlazioni tra indici comunali o per SLL depurati da effetti fissi regionali. Nello specifico, gli indicatori semplici offrono un quadro più diversificato rispetto agli indicatori compositi, che risultano invece maggiormente correlati tra loro. Con riguardo all’associazione con altri fenomeni di interesse a livello territoriale, gli indicatori di qualità istituzionale appaiono generalmente correlati positivamente a tutti i livelli geografici con il grado di sviluppo economico (reddito medio) e con la dotazione di capitale umano[6]. La relazione con l’ampiezza della popolazione è generalmente nulla, tranne che per gli indicatori a livello comunale, per cui emerge spesso un legame statisticamente negativo; la relazione con il capitale sociale[7] risulta più significativa per gli aggregati geografici più grandi, ma diviene incerta a livello comunale. Infine, da un punto di vista spaziale, la dimensione Nord-Sud rimane il fattore più ampiamente correlato con gli indicatori di qualità istituzionale.
Concentrandosi sulla dimensione between-region, la Tavola 3 mostra la correlazione tra gli indicatori ottenuti aggregando a livello regionale gli indici disponibili per livelli spaziali più fini[8]. Anche in questo caso, gli indicatori semplici si caratterizzano per una distribuzione più variegata rispetto agli indicatori compositi, che risultano invece più spesso correlati significativamente tra loro. Ancora, si conferma in maniera generalizzata l’esistenza di un divario tra Centro Nord e Mezzogiorno nei livelli di qualità istituzionale (Figura 1)[9].
Nel complesso, l’analisi effettuata conferma l’esistenza sia di un’elevata eterogeneità spaziale degli indicatori, sia di una relazione imperfetta tra singoli aspetti di qualità istituzionale. Nell’insieme, soprattutto a livello spaziale più fine, le misure disponibili non consentono di definire una distribuzione univoca della qualità istituzionale sul territorio. Come già concluso da Barone et al. (2017), qualora si voglia offrirne una valutazione complessiva del fenomeno è dunque preferibile l’utilizzo di indicatori compositi, che tengono conto di un elevato numero di fattori sottostanti. Solo se l’obiettivo è verificare ipotesi sulle ricadute della qualità istituzionale su altre variabili di outcome, potrebbe essere opportuno utilizzare indicatori che misurano aspetti specifici ragionevolmente collegati all’outcome di interesse.
4. Il confronto internazionale
Il confronto svolto in precedenza consente esclusivamente di analizzare i divari relativi nella qualità istituzionale all’interno del nostro Paese, ma soffre dell’assenza di adeguati termini di confronto per una comparazione assoluta della qualità istituzionale che caratterizza le regioni italiane. Per tale motivo, restringiamo da qui in poi l’attenzione sul lavoro di CLD, basato sull’European Quality of Government Index (EQI) [10], che da una parte risulta correlato significativamente a livello regionale con le altre misure composite disponibili per l’Italia, ma dall’altra consente in aggiunta di comparare la qualità istituzionale in Italia con quella delle altre regioni europee.[11]
La Figura 2 riporta la distribuzione dell’indice composito EQI in Europa, mentre la Tavola 4 presenta alcune statistiche relative alle regioni italiane. Innanzitutto, con riferimento ai livelli di qualità istituzionale che caratterizzano le regioni italiane, l’EQI conferma l’esistenza di un divario significativo tra Mezzogiorno e Centro Nord. Guardando invece al confronto con le altre maggiori economie europee (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito), l’indice EQI segnala che i divari di qualità istituzionale esistenti all’interno del nostro Paese sono nettamente più elevati di quelli osservati negli altri paesi, nonostante il fatto che anche questi ultimi presentino dei divari economici interni più o meno significativi. In particolare, ciò è evidente dal confronto tra gli indici di disuguaglianza spaziale (coefficiente di variazione) della qualità istituzionale e del PIL pro capite (Figura 3). La maggiore eterogeneità osservata in Italia segnala dunque l’esistenza di fattori locali che giocano un ruolo rilevante nel determinare la qualità istituzionale a livello regionale. In aggiunta, tale analisi suggerisce come negli altri paesi europei i divari interni di qualità istituzionale sembrano poter spiegare meno i divari economici osservati, mentre in Italia questo fattore risulta potenzialmente in grado di determinare una parte rilevante della variabilità between-region nel PIL pro- capite.
Al di là delle differenze che caratterizzano internamente il nostro Paese, si osserva comunque anche un divario significativo in EQI tra le regioni italiane e quelle degli altri paesi europei. In particolare, affinando maggiormente tale confronto, tutte le regioni italiane risultano caratterizzate da un gap negativo di qualità istituzionale in confronto ad aree europee simili per livello di sviluppo economico, misurato attraverso il PIL pro capite a parità di potere di acquisto (Figura 4). Tale evidenza riflette dunque in parte un “effetto paese”, che possiamo ricondurre alla peggiore performance dell’Italia rispetto alla media degli altri stati europei, desumibile dagli indicatori misurati a livello nazionale con riguardo a vari aspetti di qualità istituzionale (Figura 5).
5. Conclusioni
Come documentato da numerosi lavori empirici, la qualità del contesto istituzionale influenza in modo cruciale lo sviluppo economico. Anche a livello italiano, questo è uno dei temi su cui più si è incentrato il dibattito di policy, con riguardo in particolare al divario esistente tra aree all’interno del Paese (Cannari e Franco, 2010; Panetta, 2018). La qualità istituzionale rimane tuttavia un concetto difficile da quantificare, anche per la sua natura multidimensionale e complessa. Una misurazione accurata e affidabile a livello territoriale risulta pertanto una precondizione per potere approfondire e discutere il ruolo di tale fenomeno. A tale scopo, questo studio presenta un aggiornamento delle misure disponibili con dettaglio territoriale a livello italiano. In particolare, la nostra ricognizione raccoglie 16 indicatori tratti dai lavori più noti e recenti tra quelli che, con riferimento all’Italia, consentono di misurare la differenza nella qualità delle istituzioni e/o dell’azione pubblica tra aree diverse del Paese.
Dall’analisi comparata di tali indicatori, emergono diverse evidenze utili sia a migliorare gli studi svolti con riguardo a questo tema, sia ad aumentare la comprensione dei caratteri di tale fenomeno in Italia. In particolare, da un punto di vista metodologico, il lavoro mostra come esistono sia un’elevata eterogeneità spaziale degli indicatori, sia una relazione imperfetta tra singoli aspetti di qualità istituzionale. Come già indicato in Barone et al. (2017), qualora si voglia offrire una valutazione complessiva del fenomeno è dunque preferibile l’utilizzo di indicatori compositi, che tengono conto di un elevato numero di fattori sottostanti. A livello empirico, gli indicatori di qualità istituzionale mostrano differenze territoriali molto ampie che riflettono soprattutto (ma non solo) il classico divario Nord-Sud. Nel confronto internazionale, le differenze tra regioni italiane risultano molto più ampie di quelle osservate in altri paesi; nondimeno, anche le regioni con qualità istituzionale migliore in Italia hanno un gap negativo rispetto a quelle degli altri principali stati dell’area UE, riflettendo in particolare il ruolo del fattore “paese”. Da una parte, dunque, gli interventi di riforma volti a migliorare la qualità dell’azione pubblica a livello nazionale appaiono essenziali per ridurre per tutte le regioni tale fonte di svantaggio competitivo. Dall’altra, comunque, nelle aree a minore qualità istituzionale sembra necessario agire anche su quelle componenti locali che possono essere alla base delle disparità osservate all’interno del Paese.
Bibliografia
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- Rodrik D., Subramanian A., Trebbi F (2004), Institutions rule, the primacy of institutions over geography and integration in economic development, Journal of Economic Growth, 9, 131-165.
Tabella 1: Correlazione tra indicatori di qualità istituzionale e variabili socio-economiche e geografiche
A1) INDICATORI REGIONALI
Variabili | (1) | (2) | (3) | (4) | Reddito
medio |
Popolazione | Capitale umano | Capitale sociale | Latitudine |
(1) adf1 | 1.000 | -0.119 | -0.014 | 0.008 | 0.032 | -0.041 | |||
(2) dv | -0.504* | 1.000 | 0.046 | -0.095 | -0.161 | -0.130 | 0.044 | ||
(3) adf2 | 0.265 | -0.127 | 1.000 | 0.658* | -0.017 | 0.626* | 0.189 | 0.738* | |
(4) cld | -0.086 | 0.166 | 0.621* | 1.000 | 0.578* | -0.168 | 0.435 | 0.121 | 0.874* |
Note: Gli indicatori compositi sono evidenziati in rosso. * indica significatività al 5 per cento. |
B1) INDICATORI PROVINCIALI
Variabili | (1) | (2) | (3) | Reddito
medio |
Popolazione | Capitale umano | Capitale sociale | Latitudine |
(1) nv | 1.000 | 0.630* | 0.047 | 0.515* | 0.275* | 0.836* | ||
(2) ds | 0.859* | 1.000 | 0.655* | -0.030 | 0.511* | 0.205* | 0.902* | |
(3) gtom | 0.517* | 0.518* | 1.000 | 0.626* | 0.363* | 0.303* | 0.463* | 0.506* |
Note: Gli indicatori compositi sono evidenziati in rosso. * indica significatività al 5 per cento. |
C1) INDICATORI SISTEMI LOCALI DEL LAVORO
Variabili | (1) | (2) | (3) | Reddito
medio |
Popolazione | Capitale umano | Capitale sociale | Latitudine |
(1) mo1 | 1.000 | 0.074 | 0.003 | 0.030 | 0.025 | 0.224* | ||
(2) mo2 | 0.440* | 1.000 | 0.532* | 0.002 | 0.380* | 0.117* | 0.814* | |
(3) cm | 0.175* | 0.583* | 1.000 | 0.306* | -0.071 | 0.249* | -0.004 | 0.638* |
Note: Gli indicatori compositi sono evidenziati in rosso. * indica significatività al 5 per cento. |
D1) INDICATORI COMUNALI
Variabili | (1) | (2) | (3) | (4) | (5) | (6) | Reddito
medio |
Popolazione | Capitale umano | Capitale sociale | Latitudine |
(1) dg | 1.000 | 0.145* | -0.056* | 0.059* | -0.031* | 0.299* | |||||
(2) giat1 | 0.127* | 1.000 | -0.000 | -0.204* | -0.016 | -0.193* | 0.169* | ||||
(3) giat2 | 0.141* | 0.776* | 1.000 | 0.067* | -0.118* | 0.060 | -0.089* | 0.187* | |||
(4) ddr | 0.041* | 0.102* | 0.099* | 1.000 | 0.176* | 0.027* | 0.058* | 0.034* | 0.235* | ||
(5) bm | 0.092* | -0.022 | -0.039 | -0.050 | 1.000 | -0.224* | -0.153* | -0.202* | -0.114* | -0.073* | |
(6) agrs | 0.080 | -0.145 | 0.047 | 0.078 | -0.103 | 1.000 | 0.410* | 0.238* | 0.327* | 0.313* | 0.127* |
Note: * indica significatività al 5 per cento. |
Tabella 2: Correlazione indicatori sistemi locali del lavoro/comunali (solo variabilità within-region)
C2) INDICATORI SISTEMI LOCALI DEL LAVORO
Variabili | (1) | (2) | (3) | Reddito
medio |
Popolazione | Capitale umano | Capitale sociale | Latitudine |
(1) mo1 | 1.000 | -0.121* | -0.014 | -0.046 | -0.021 | 0.012 | ||
(2) mo2 | 0.897* | 1.000 | -0.184* | -0.024 | -0.119* | -0.049 | 0.026 | |
(3) cm | -0.047 | -0.024 | 1.000 | -0.138* | -0.106* | 0.011 | -0.134* | -0.063 |
Note: Gli indicatori sono stati precedentemente depurati da effetti fissi regionali. Gli indicatori compositi sono evidenziati in rosso. * indica significatività al 5 per cento. |
D2) INDICATORI COMUNALI
Variabili | (1) | (2) | (3) | (4) | (5) | (6) | Reddito
medio |
Popolazione | Capitale umano | Capitale sociale | Latitudine |
(1) dg | 1.000 | -0.012 | -0.020 | 0.004 | -0.027* | -0.009 | |||||
(2) giat1 | 0.106* | 1.000 | -0.115* | -0.189* | -0.072* | -0.197* | -0.045 | ||||
(3) giat2 | 0.094* | 0.763* | 1.000 | -0.045 | -0.103* | -0.005 | -0.094* | -0.039 | |||
(4) ddr | -0.028* | 0.035 | 0.030 | 1.000 | 0.058* | 0.040* | 0.029* | 0.035* | -0.038* | ||
(5) bm | 0.133* | -0.014 | -0.034 | -0.034 | 1.000 | -0.216* | -0.151* | -0.218* | -0.109* | -0.014 | |
(6) agrs | 0.008 | -0.203* | -0.032 | 0.017 | -0.085 | 1.000 | 0.426* | 0.254* | 0.380* | 0.323* | 0.036 |
Note: Gli indicatori sono stati precedentemente depurati da effetti fissi regionali. * indica significatività al 5 per cento |
Tabella 3: Correlazione tra medie regionali degli indicatori di qualità istituzionale
Variabili | (1) | (2) | (3) | (4) | (5) | (6) | (7) | (8) | (9) | (10) | (11) | (12) | (13) | (14) | (15) | (16) |
(1) adf1 | 1.000 | |||||||||||||||
(2) dv | -0.504* | 1.000 | ||||||||||||||
(3) mo1 | -0.322 | 0.174 | 1.000 | |||||||||||||
(4) dg | -0.233 | 0.229 | 0.635* | 1.000 | ||||||||||||
(5) giat1 | 0.076 | 0.074 | 0.201 | 0.296 | 1.000 | |||||||||||
(6) giat2 | -0.000 | 0.114 | 0.368 | 0.396 | 0.928* | 1.000 | ||||||||||
(7) ddr | -0.002 | 0.279 | 0.601* | 0.787* | 0.461* | 0.516* | 1.000 | |||||||||
(8) bm | 0.363 | -0.389 | -0.267 | -0.382 | -0.171 | -0.099 | -0.358 | 1.000 | ||||||||
(9) agrs | -0.121 | -0.009 | 0.520* | 0.306 | 0.120 | 0.328 | 0.222 | -0.096 | 1.000 | |||||||
(10) adf2 | 0.265 | -0.127 | 0.363 | 0.576* | 0.192 | 0.221 | 0.564* | 0.099 | 0.099 | 1.000 | ||||||
(11) cld | -0.086 | 0.166 | 0.632* | 0.840* | 0.445* | 0.598* | 0.748* | 0.048 | 0.333 | 0.621* | 1.000 | |||||
(12) nv | -0.064 | -0.090 | 0.694* | 0.846* | 0.257 | 0.445* | 0.588* | 0.001 | 0.499* | 0.602* | 0.811* | 1.000 | ||||
(13) ds | 0.014 | 0.022 | 0.622* | 0.868* | 0.398 | 0.524* | 0.671* | 0.000 | 0.461* | 0.712* | 0.938* | 0.877* | 1.000 | |||
(14) gtom | -0.184 | -0.059 | 0.685* | 0.622* | -0.122 | 0.008 | 0.317 | -0.245 | 0.449* | 0.559* | 0.418 | 0.630* | 0.556* | 1.000 | ||
(15) mo2 | -0.167 | 0.072 | 0.748* | 0.837* | 0.385 | 0.550* | 0.679* | -0.019 | 0.367 | 0.585* | 0.932* | 0.887* | 0.900* | 0.596* | 1.000 | |
(16) cm | 0.025 | 0.188 | 0.389 | 0.792* | 0.589* | 0.690* | 0.705* | 0.031 | 0.296 | 0.494* | 0.890* | 0.691* | 0.832* | 0.117 | 0.778* | 1.000 |
Note: Gli indicatori compositi sono evidenziati in rosso. * indica significatività al 5 per cento |
Appendice I: Gli indicatori presi in esame (Scarica il PDF)
Note
* Si ringraziano Monica Andini, Guglielmo Barone, Matteo Bugamelli, Francesco David, Ilaria De Angelis, Guido de Blasio, Giovanna Messina, Sauro Mocetti, Paolo Sestito e un anonimo referee per i consigli e suggerimenti. Tutti gli errori rimangono ovviamente a carico degli autori. Le opinioni sono personali e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.
[1] La centralità di tale questione nella letteratura economica più recente viene evidenziata dalla teoria istituzionalista della crescita, che origina con il contributo di Hall e Jones (2009), i quali hanno mostrato empiricamente il nesso tra performance economiche di un paese e l’insieme delle “istituzioni e politiche pubbliche che determinano il contesto economico entro il quale gli individui accumulano skills e le imprese accumulano capitale e realizzano prodotti finali”.
[2] IMF, Country Report No. 15/166, 2015.
[3] Con riguardo ai lavori meno recenti, che non vengono considerati in questa nota, si segnalano: Del Monte e Papagni (2001); Fabbri e Padula (2004); Golden e Picci (2005); Bianco et al. (2005).
[4] Laddove non accessibili pubblicamente, i micro-dati sono stati richiesti agli autori, che ringraziamo per la preziosa disponibilità.
[5] A titolo di comparazione, gli effetti fissi regionali spiegano, rispettivamente, il 33 e il 19 per cento della varianza del reddito medio e del livello di capitale umano per comune.
[6] Misurati, rispettivamente, dal reddito imponibile ai fini Irpef (fonte MEF) e dalla quota di adulti che posseggono un titolo di studio pari o superiore al diploma (fonte Censimento).
[7] Misurato dal numero di organizzazioni no-profit per abitante (fonte Censimento).
[8] Tale aggregazione è stata ottenuta ponderando i dati la popolazione.
[9] Tra i principali outliers presenti nella Figura 1 si segnala il caso del Lazio negli indici GIAT1-GIAT2, che risultano influenzati dalla cattiva performance nei tempi di risposta del Comune di Roma.
[10] A differenza del lavoro di CLD, che utilizza solo i dati disponibili a quel tempo e relativi alla survey del 2010, gli indicatori regionali in questa nota sono misurati attraverso la media dell’EQI per i tre anni 2010, 2013 e 2017 (in base ai dati aggiornati nell’edizione 2017). L’indice risulta infatti abbastanza stabile nei tre anni, anche in connessione alla stabilità intrinseca della qualità istituzionale. Le oscillazioni osservate sono influenzate da errori di misurazione connessi alla natura campionaria dei dati utilizzati; risulta pertanto difficoltosa una loro interpretazione in termini di “vera” variabilità del fenomeno. L’indicatore EQI si basa su indagini campionarie distribuite ai cittadini dell’UE28. Tali indagini rilevano le percezioni dei cittadini sulla qualità di istruzione, sanità e polizia locale. Le risposte individuali vengono successivamente standardizzate e aggregate a livello regionale sulla base di tre ambiti individuati tramite analisi fattoriale: contrasto alla corruzione, qualità dei servizi e imparzialità delle istituzioni. Ogni pilastro dell’indicatore EQI è calcolato come la deviazione del punteggio regionale dalla media nazionale ed è centrato sui corrispondenti World Bank’s Governance Indicators (WGI; indicatori di qualità delle istituzioni a livello nazionale costruiti dalla Banca Mondiale). I punteggi dei pilastri sono poi standardizzati e aggregati nell’indicatore EQI tramite una media semplice.
[11] L’indicatore EQI è stato ampiamente utilizzato dalla letteratura economica negli ultimi anni (tra i principali lavori si segnalano: Rodríguez-Pose e Garcilazo, 2015; Crescenzi et al., 2016).
[12] La tavola utilizza la media dell’indicatore EQI per gli anni 2010, 2013 e 2017, per 200 regioni europee (valori più elevati corrispondono ad una maggiore qualità istituzionale). Per rendere più omogenee le regioni di confronto, si sono considerati diversi livelli di aggregazione geografica (Nuts0: Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta e Cipro; Nuts1: Belgio, Germania, Regno Unito, Grecia e Svezia; Nuts2: Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Francia, Italia, Portogallo, Romania, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Polonia, Croazia, Irlanda, Finlandia, Ungheria e Bulgaria). I cluster di confronto sono definiti in termini di PIL pro capite in PPA rispetto alla media europea nel 2017 (L=meno del 75 per cento; ML=tra il 75 e il 100 per cento; MH=tra il 100 e il 125 per cento; H=oltre il 125 per cento).
[13] La figura 4 utilizza la media dell’indicatore EQI per gli anni 2010, 2013 e 2017 (normalizzato su una scala 0-100), per 200 regioni europee. Per rendere più omogenee le regioni di confronto, si sono considerati diversi livelli di aggregazione geografica (Nuts0: Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta e Cipro; Nuts1: Belgio, Germania, Regno Unito, Grecia e Svezia; Nuts2: Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Francia, Italia, Portogallo, Romania, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca, Polonia, Croazia, Irlanda, Finlandia, Ungheria e Bulgaria). I cluster di confronto sono definiti in termini di PIL pro capite in PPA rispetto alla media europea nel 2017 (L=meno del 75 per cento; ML=tra il 75 e il 100 per cento; MH=tra il 100 e il 125 per cento; H=oltre il 125 per cento).
[14] La figura 5 utilizza la media negli anni 2010-2017 degli indicatori WGI (Worldwide Governance Indicators) per i paesi UE28 (normalizzati su una scala 0-100). Gli indicatori considerati sono i seguenti: cce=“control of corruption”; gee= “government effectiveness”; pve=“political stability and absence of violence”; rle= “rule of law”; rqe=“regulatory quality”; vae=“voice and accountability”.