La «questione agraria» è connessa alle dinamiche complessive della «questione meridionale», e di ciò ne erano consapevoli i promotori dell’intervento straordinario per il Sud. Compito di questo lavoro è la ricostruzione della prima fase dell’intervento straordinario, ovvero quel periodo in cui venne inquadrato un modello di sviluppo che individuava nel contemporaneo sostegno ai processi di crescita economica e di inclusione sociale anche dei fattori utili ad ampliare le basi del consenso alla nuova stagione istituzionale repubblicana.
The “Agrarian question” is connected to the overall dynamics of the “Southern question”, and the promoters of the extraordinary intervention for the South were aware of this. The task of this work is the reconstruction of the first phase of the extraordinary intervention, that is, that period in which a development model was framed which identified the contemporary support for the processes of economic growth and social inclusion as useful factors for broadening the basis of consensus for the new republican institutional season.
1. Introduzione
Questione agraria e questione meridionale, come indicato anche nella letteratura sul tema, sono connesse, e di ciò ne erano pienamente consapevoli i promotori della stagione dell’intervento straordinario. Infatti, alle origini del dibattito sollevato nei primi ambienti Svimez e tra i registi della creazione della Cassa per il Mezzogiorno, il focus era la programmazione di una serie di interventi per migliorare, o creare, le infrastrutture della macro-area, in modo da sostenere la crescita del settore primario per poi imprimere concretamente soltanto in una seconda fase un’accelerazione in senso industriale. Questo lavoro, partendo da una “fotografia dinamica” della questione agraria dall’Unità in avanti, ricostruisce l’azione della Cassa per il Mezzogiorno nel primo dodicennio, ovvero quella fase in cui bisognava recuperare il “primo doppio divario” del panorama socio-economico nazionale: se in molti hanno sottolineato l’esistenza di un “doppio divario” tra Nord e Sud Italia, e tra il Paese e il centro del sistema economico, in realtà esisteva già un doppio divario interno, ovvero tra la “polpa e l’osso” descritti da Rossi Doria e il Mezzogiorno e il Nord Italia. Le fonti prese in considerazione sono sia di natura qualitativa, ovvero i documenti prodotti dalla dirigenza della Cassa, sia quantitativi, ovverosia i dati a disposizione sugli interventi infrastrutturali.
2. Questione agraria e modernizzazione programmata: la Cassa del Mezzogiorno
L’alienazione dei demani e delle proprietà ecclesiastiche voluta soprattutto da Quintino Sella nel 1867 non aiutò la frammentata società rurale del Mezzogiorno a liberarsi da vecchi vincoli latifondistici. Già nel primo trentennio post-unitario il programma d’ispirazione cavouriana di crescita naturale del settore agricolo, mediante la piena liberalizzazione commerciale, cadde per i difetti interni al laissez-faire e per l’evoluzione dei mezzi di trasporto, che permisero al grano russo e americano, nonché alla seta cinese e indiana, di invadere i mercati del vecchio continente dalla fine degli anni Settanta del XIX secolo. La crisi fu molto dura, specie per i Paesi come l’Italia, con percentuali altissime di popolazione attiva impegnata nel settore primario. Nel 1887-1888 lo Stato varò le misure protezionistiche sui prodotti cerealicoli, mantenute anche oltre la congiuntura, che favorirono soprattutto la già avanzata agricoltura centro-settentrionale, ricca di consorzi agrari, leghe bracciantili e altre tipologie di associazionismo che rispecchiavano la struttura della proprietà della terra in quell’area del Paese (Crainz, Nenci, 1991). Il Sud non fu investito da questo dinamismo. Se da un lato la tariffa protezionistica difese la cerealicoltura, dall’altro penalizzò la cura di colture maggiormente esportabili, come ulivo, vite e fruttifere. Inoltre, la natura fisica del meridione non permise un recupero di terre coltivabili, sia per la limitazione delle tecnologie dell’epoca, sia per l’estensione di territorio montuoso o collinare, ma anche per l’ostruzionismo dei latifondisti, interessati a proteggere le posizioni di rendita raggiunte. In tal modo iniziò ad amplificarsi il divario produttivo tra Nord e Sud.
Un ulteriore tentativo volto al miglioramento della produttività agricola del Sud fu portato avanti dagli esecutivi giolittiani tramite leggi speciali per bonifiche e opere irrigue, senza però raggiungere quel carattere di organicità che avrebbe potuto dare maggiore forza all’intervento (Farolfi, Fornasari, 2011). In seguito, propaganda a parte furono raggiunti scarsi risultati anche nel ventennio fascista. Nonostante gli sforzi per far emergere il carattere ruralista del regime, alcuni interventi in politica agraria, come la «battaglia del grano» e le «bonifiche integrali», furono fallimentari, e per la cerealicoltura si ebbero gli stessi effetti dei dazi del 1887, sacrificando colture tradizionalmente votate all’esportazione senza produrre alcuna meccanizzazione dell’agricoltura del Mezzogiorno (Sabbatucci, Vidotto, 2008).
Per tale ragione, i promotori dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno dal dopoguerra posero come base di partenza per il recupero del divario con il più ricco Nord la possibilità di modernizzare il mondo rurale meridionale, adoperandosi per disporre una riqualificazione territoriale e produttivistica di tutto il settore primario, e riallacciandosi sul versante politico al tentativo di cambiamento dei rapporti di proprietà promosso dalla riforma agraria. La fondazione della Cassa rendeva concreta la progettazione portata avanti nel triennio 1948-1950 da tecnici italiani e americani sul versante del sostegno alla produttività agricola meridionale mediante programmi di bonifica territoriale, frutto della collaborazione tra la Svimez, i tecnici del piano ERP, della Banca d’Italia, del CIR e del ministero dell’agricoltura (Bernardi, 2013).
Nel 1950-1951 la produzione lorda vendibile per ettaro di superficie agricola al Nord era di 154 mila lire, al Sud 91 mila lire; maggiore disparità, inoltre, si trovava nella modernizzazione del lavoro rurale: il numero dei trattori per ogni mille ettari di terreno era di 7,6 al Nord in confronto a un modesto 1,6 al Sud (CasMez, 1955). Al 1950 la popolazione rurale meridionale era molto densa; la sua attività consisteva soprattutto nello sfruttamento cerealicolo e nella coltivazione di alberi da frutto, anche a causa della natura del territorio occupato e del clima: solo un modesto 15% di pianura disponibile non poteva sostenere una tipologia di agricoltura più produttiva per l’intera area. Rossi-Doria, ripensando alla questione agraria meridionale, parlò di «polpa e osso», distinguendo aree a forte produttività agricola, la polpa, ovvero la pianura, e zone scarsamente attrattive per insediamenti agricoli razionalizzati, l’osso, ovvero le aree interne (Rossi Doria, 2005).
La fame di terra, dunque, era una caratteristica endemica della questione agraria del Mezzogiorno, e una delle cause della scarsa produttività del territorio, in quanto le aree fertili erano sovraccaricate (Mori, 1992). Il concetto di «povertà naturale» del Mezzogiorno derivava dall’impostazione liberale del pensiero meridionalista di Giustino Fortunato, che considerava come base del ritardo del Mezzogiorno la sproporzione tra popolazione e terra. Rossi-Doria, che svolse un’analisi sull’arretratezza del sud, amalgamando le diverse scuole del pensiero meridionalista, liberò il concetto di «povertà naturale» dal pessimismo fortunatiano (Graziani, 2020): egli notò che questa sproporzione fu allentata dai flussi migratori in uscita a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo, quando la proporzione tra uomo e terra al Sud venne riequilibrata e le rimesse dei migranti permisero una prima limitata formazione del reddito. Tuttavia, Rossi-Doria individuò una riacutizzazione del problema quantitativo della popolazione del Mezzogiorno nelle politiche di blocco migratorio imposte dal regime fascista (D’Amico, Patti, 2018), che ostacolarono la valvola di sfogo della povertà naturale per fini propagandistici e per rimarcare la natura agraria del fascismo.
Consapevoli della natura della sproporzione tra uomo e terra, i dirigenti della Cassa destinarono i primi finanziamenti all’attività di bonifica integrale per la sistemazione di bacini montani, agli interventi idraulico-forestali e idraulico-agrari (CasMez, p. 30), per poi dotare i terreni liberati di infrastrutture adatte alla programmazione sul lungo periodo.
I fini stabiliti dalla politica erano precisi: migliorare il paesaggio rurale per poi creare terreno fertile per l’insediamento di attività produttive di altro genere, dal commercio all’industria. Così, nei primi anni di attività della Cassa, il 75% dei fondi furono impegnati nel settore agricolo con la costituzione di comprensori di bonifica, individuando con precisione le zone d’intervento per il settore primario. Dalle province di Ascoli a Ragusa, passando per la Sardegna, furono creati 112 comprensori di bonifica, toccando principalmente le aree appenniniche, e 235 perimetri di sistemazione montana o di rimboschimento dei litorali, per circa 16 milioni di ha (CasMez, p. 31). Parte di questi interventi comprendeva la sistemazione di programmi del passato mai terminati o realizzati in modo non consono. Disaggregando i dati, si evince che la maggior parte degli interventi di bonifica nel primo quinquennio della Cassa fu condotta in Sardegna (24,3% del totale); in Calabria, invece, furono destinati più fondi per la categoria «bonifica montana» (33,7%) e per i «bacini montani e litorali» (29,5%) (CasMez, p. 37). Nel complesso, dal 1950 al 1955 la Cassa per il Mezzogiorno spese sul totale il 2,73% in studi e ricerche, il 7,25% in sistemazioni montane in comprensorio, il 30,65% in sistemazioni idrauliche e il 34,15% in opere irrigue, mentre in «opere stradali e civili», che consentirono una modernizzazione di tutta la società meridionale, l’ente spese il 25,22% dei finanziamenti (CasMez, p. 37).
La voce «bonifica montana» fu molto importante per i fini complessivi di tutto l’intervento della Cassa in ambito agricolo. Bisognava creare un sostegno stabile per le popolazioni che risiedevano nelle aree più periferiche e meno collegate del Sud, difficili da abitare sia dal punto di vista climatico, che economico. Con questa funzione la Cassa assumeva anche il compito di manifestare la presenza dello Stato in zone in cui il potere centrale sembrava un’entità lontana, e la maggior parte dei contadini si sentiva estranea dall’assunzione dei diritti di cittadinanza. In più, la sistemazione montana era un traguardo d’impostazione per poter procedere al sostegno dell’agricoltura intensiva nei comprensori di bonifica. In breve tempo si attuarono interventi per evitare dissesti idrogeologici e per regolare il flusso delle acque montane; si finanziarono attività agricole locali e, soprattutto, si misero in pratica i riferimenti espressi nella legge 25 luglio 1952, n. 991, ovvero i provvedimenti in favore dei territori montani. Questa legge rientrava nell’attività normativa parlamentare nel quadro della definizione delle misure dell’intervento straordinario. Si istituì una commissione censuaria centrale, con il compito di compilare un elenco dei comuni rientranti nella categoria montana. Gli enti locali interessati potevano fare richiesta per l’iscrizione all’elenco, oppure erano automaticamente inseriti d’ufficio dalla commissione stessa.
Per rendere tutto più efficiente, alla commissione centrale vennero affiancate delle commissioni provinciali, che studiavano i territori dal punto di vista idrogeologico e socio-economico[1]. Nel campo delle agevolazioni, il legislatore stabilì la possibilità di far ricorso a mutui di miglioramento concessi da istituti esercenti credito agrario in favore di coltivatori diretti, piccoli e medi proprietari, allevatori e artigiani dei comuni montani. I mutui previsti avevano scadenza trentennale e una quota annua di ammortamento e di interessi pari al 4%[2]. L’elemento davvero agevolativo era la garanzia sussidiaria dello Stato fino al 70% delle eventuali perdite accertate. Le condizioni per ottenere i mutui riguardavano il miglioramento del tessuto socio-economico dei comuni montani: si previde l’elargizione delle somme in caso di progetti produttivistici legati alla costruzione di impianti o allo sviluppo di aziende agricole, zootecniche e forestali, oppure di imprese di trasformazione di materie prime locali. In più, furono previsti mutui per sostenere la ristrutturazione delle condizioni igienico-sanitarie delle abitazioni. Quanto alla gestione delle bonifiche montane, la legge stabilì la formazione dei comprensori di bonifica, che erano tenuti a redigere dei piani generali per l’operazione da eseguire. I comprensori di bonifica montana individuati dalla legge erano 25.
Per stimolare la crescita della produttività delle zone rurali la Cassa mise in piedi un vasto programma riguardante l’irrigazione, che permise di intensificare le pratiche agricole in territori sofferenti dal punto di vista idrico. La risoluzione del problema idrico fu individuato dai tecnici come base per poter sostenere la strutturazione di un sistema agricolo intensivo, che potesse rispondere positivamente alla concezione produttivistica insita nei principi istitutivi della Cassa. Questo era il problema più difficile da risolvere, poiché le risorse idriche in alcune zone erano molto scarse, ma i tecnici deputati alla risoluzione delle difficoltà idro-geologiche scelsero la costruzione di serbatoi per l’invaso delle acque invernali per sostenere l’irrigazione dei campi in territori con scarsa piovosità nelle stagioni calde.
Per le opere infrastrutturali di sostegno al Sud rurale la Cassa previde la costruzione di acquedotti, elettrodotti e strade. Grazie a questo settore d’intervento si riuscì a mettere in contatto zone in passato considerate irraggiungibili, soprattutto in Calabria, Lucania, Sicilia e Sardegna; i maggiori interventi furono realizzati sugli acquedotti e le reti fognarie, considerati di prim’ordine per l’esecuzione generale del piano dodicennale. Per migliorare la situazione generale furono utilizzati i fondi previsti dalla legge 27 luglio 1952, n. 949, che estese l’intervento della Cassa in materia di acquedotti. In sintesi, i dirigenti della CasMez organizzarono in breve tempo l’intervento straordinario sul problema idrico, perché esistevano ancora molti comuni del Mezzogiorno, soprattutto delle aree montane, che non riuscivano a fornire regolarmente acqua alla popolazione, con relativi problemi di natura igienica e produttiva.
Parallelamente al piano originale nacque un piano integrativo per gli acquedotti con il sostegno del comitato dei ministri e, nello specifico, con l’aiuto del ministero dei lavori pubblici. Tuttavia, le difficoltà riscontrate nell’elaborare nuovi studi di settore, e la mancanza di un piano di finanziamento esclusivo per l’integrazione, fecero convergere il piano decennale originale e quello integrativo in un unico schema per gli acquedotti.
Anche alle strade fu data un’alta priorità, come si deduce dal fatto che nel 1955 il 50% del progetto dodicennale era già stato ultimato, e nei successivi cinque anni venne completato al 90% (CasMez, 1960): furono costruiti 681 Km di strade in Calabria, 666 Km in Basilicata, 976 Km in Puglia, 662 Km in Sicilia, 492 Km in Sardegna, 137 Km nel Lazio, 245 Km in Campania e 371 Km complessivi tra l’Abruzzo, il Molise e il Sud delle Marche (CasMez, 1955, p. 51).
Lungo le nuove direttrici nacquero dei borghi programmati per ospitare i contadini dopo la riforma fondiaria e la colonizzazione. Alla Cassa spettò l’onere di valorizzare i terreni precedentemente espropriati, favorendo l’insediamento in pianta stabile dei contadini e un’agricoltura intensiva. La valorizzazione comprendeva anche opere civili, come strade interne, case, scuole e altri edifici sociali, per permettere la crescita delle piccole comunità che si stavano formando (CasMez, p. 48). Nel 1955 furono inaugurate, inoltre, 25 scuole sul totale di 88 progettate per l’insegnamento pratico delle tecniche di coltivazione e di allevamento.
Di grande importanza per la rivitalizzazione del tessuto produttivo e sociale del Sud fu il programma della Cassa in riguardo alla creazione, o sistemazione, di strade provinciali. I dati di partenza del progetto dell’ente non erano certo edificanti: nel 1950 nelle province del Nord esistevano 6.731 Km di strade a pavimentazione protetta su 12.918 Km complessivi della rete, ovvero il 52,1%; al Sud, invece, su 21.609 Km di strade provinciali soltanto 2.940 Km erano state sistemate con bitumati e altro, il 13,61% (CasMez, p. 373). Con queste percentuali tutti gli interventi modernizzatori della Cassa sarebbero risultati vani, in quanto parte del territorio soggetto a intervento straordinario non aveva a disposizione una rete carrabile adeguata per sostenere uno sviluppo produttivo. Così, da subito il nuovo progetto pubblico previde lo stanziamento di 55 miliardi per questo scopo, e si mise in moto una grande macchina produttiva che coinvolse vari enti e imprese, sostenendo la crescita occupazionale delle zone interessate: nel 1955 erano stati già collaudati 13.974 Km di strade provinciali ristrutturate grazie ai fondi della Cassa, una percentuale vicina al 65%. Nello stesso anno erano stati spesi ulteriori 35 miliardi di lire per il programma di costruzione di nuove strade carrabili, che prevedeva 60 miliardi di stanziamento per migliorare la viabilità del Centro-Sud. Alla fine del progetto di viabilità, la Cassa aveva costruito circa 2.607 Km di nuove strade, anche grazie al rapporto stretto con l’ANAS, che permise la crescita esponenziale del settore turistico, specie in Campania, Calabria e in Sicilia (Cassar, Creaco, 2012).
Oltre alle strade carrabili, la viabilità fu migliorata anche nei trasporti ferroviari; 75 miliardi furono spesi per il potenziamento di diverse linee di collegamento del Mezzogiorno fino al 1955: gli importi più rilevanti furono spesi per l’elettrificazione della linea Bari-Foggia-Pescara e il raddoppio della linea Battipaglia-Reggio Calabria. Per incrementare il trasporto su rotaie, inoltre, furono attrezzate le linee Reggio Calabria-Metaponto, che coprivano tutta la fascia ionica della Calabria, e la Bari-Taranto-Metaponto (Rindone, 2013). Tutto ciò ebbe un significato straordinario per gli abitanti delle zone interessate. Basti pensare che i borghi rurali erano abituati da secoli alla vita solitaria delle campagne.
Come sottolineato dai resoconti del primo quinquennio di lavoro della Cassa, la finalità istitutiva prevedeva il «progresso economico e sociale del Mezzogiorno[3]», mentre nel 1952 lo scopo iniziale fu integrato con il perseguimento di «scopi di generale valorizzazione del Mezzogiorno […] [e di] processo di industrializzazione del Mezzogiorno[4]». Dunque, dal 1952 la Cassa per il Mezzogiorno si dedicò anche a un progetto di industrializzazione del meridione per diminuire il divario con il resto del Paese. Il programma industrialista si fondava su una linea teorica che indicava la promozione di un take-off industriale per integrare il processo di sviluppo socio-economico originato dai primi interventi dell’ente; inoltre, la nascita di un vasto programma di elettrificazione e di un’industria di trasformazione avrebbe agevolato indirettamente anche la progressione di un’agricoltura finalizzata alla commercializzazione del prodotto finale, collegando maggiormente aree agricole e zone a vocazione industriale.
Per finanziare la creazione di impianti industriali di piccole e medie dimensioni la Cassa investì per circa un anno esclusivamente i fondi dei prestiti della International Bank for Reconstruction and Development (IBRD), la futura Banca Mondiale[5]. Dal 1953, invece, la riordinazione del medio credito favorì anche l’attività di sostegno industriale diretto della Cassa, che partecipò per il 40% cadauno ai fondi di dotazione dell’Isveimer, dell’Irfis e del Cis (Lepore, Palermo, 2015). I settori ai quali si dedicarono le forze finanziarie dell’ente erano principalmente tre: trasformazione prodotti agricoli, impianti di piccole e medie imprese, grandi impianti industriali connessi ai settori energetici.
Nella prima fase di lavoro della Cassa erano già in cantiere 303 progetti per impianti di valorizzazione dei prodotti agricoli, dei quali circa la metà erano in funzione dopo un investimento di 4.041 milioni di lire, producendo lavoro per centinaia di unità lavorative. In questo ambito d’intervento furono creati nuovi magazzini granari, centrali del latte e centrali ortofrutticole. I progetti per piccole e medie industrie a tutto il 1955 erano 254, di cui 87 già realizzati, con una spesa complessiva prevista di 46 miliardi di lire, in grado di occupare 15.855 persone. Con il supporto dell’Isveimer per il Mezzogiorno continentale, dell’Irfis per la Sicilia e il Cis per la Sardegna furono costruiti anche zuccherifici, lanifici, cotonifici e altre aziende dedite alla trasformazione dei prodotti derivanti dall’attività agricola; nel salernitano, ad esempio, si favorì la crescita dell’industria di lavorazione del tabacco.
Il riferimento al primo quinquennio di attività della Cassa è tutt’altro che casuale. Nel primo lustro le attività del nuovo ente di sostegno del Mezzogiorno dimostrarono la loro maggiore forza propulsiva, generando una vera rottura rivoluzionaria per gli abitanti delle zone interessate dal punto di vista sociale, economico e culturale. Ciò che venne progettato e costruito dopo la prima fase d’intervento portò a un ulteriore miglioramento della situazione del Sud Italia rurale; infatti, venne completata la maggior parte dei progetti messi in cantiere, nacquero altri programmi e, soprattutto, si concentrarono gli investimenti verso settori strategici che potevano supplire alla mancanza di risorse energetiche del Paese, come il comparto elettro-commerciale. All’origine la «questione elettrica» non rientrava nei programmi principali. Se fino al 1952 la Sme puntò sull’Isveimer per finanziare la propria attività[6], già a partire dal 1953 le modalità di intervento della Cassa cambiarono strutturalmente: come già ricordato, il parlamento autorizzò la Cassa a partecipare nelle iniziative degli istituti di credito speciale a medio termine: Isveimer, Irfis e Cis. Nel frattempo – ed è questo uno degli elementi decisivi per comprendere le attività dell’ente nei suoi primi anni ‒ il 10 ottobre 1951 viene firmato il primo prestito con la IBRD (CasMez, pp.89-90).
3. Conclusioni
Dal punto di vista quantitativo, la CasMez permise un aumento del tasso di crescita dell’agricoltura meridionale superiore dello 0,1% rispetto al margine dell’area centro-settentrionale, attestandosi sul 2,7%. Può sembrare riduttivo, ma bisogna considerare i livelli di partenza della produttività del Mezzogiorno rurale dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Rossi Doria considerava questa opera infrastrutturale e modernizzatrice dell’intervento straordinario come fondamentale per far progredire quella parte d’Italia in ritardo. Infatti, a quasi un secolo dall’Unità nazionale, progetti di ogni sorta non erano stati in grado di risolvere la questione agraria nelle campagne meridionali, e parte della popolazione, specie nelle aree più interne dell’Appennino meridionale, riversava in condizioni misere, come dimostrato dalla Inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla (1951-1954): mancanza di servizi essenziali per una vita decorosa, avversione nei confronti delle autorità dello Stato, senso di lontananza delle istituzioni, analfabetismo e povertà assoluta molto diffusi. L’azione dell’intervento straordinario, nella sua fase infrastrutturale, riuscì a mettere in discussione ciò che per i contadini delle aree interne sembrava una condanna storica, ovvero l’esistenza in povertà e l’isolamento. Le bonifiche, le sistemazioni montane, l’elettrificazione, la costruzione di strade e ponti e altro riuscirono a migliorare la resa agricola, allentando anche la classica “fame di terra” e stimolando, nelle zone più favorevoli, la creazione di iniziative produttive in senso capitalistico. In più, grazie alla costruzione di scuole di ogni ordine e grado (soprattutto istituti tecnici e asili), la CasMez badò alla formazione di quel capitale umano che avrebbe potuto giovare all’intera macro-area sia in termini economici che sociali.
La promozione di un’attività di infrastrutturazione capillare per tutto il Mezzogiorno fu di vitale importanza per programmare il secondo step, elaborato negli ambienti intellettuali del neo-meridionalismo aderendo alle prospettive del Big Push Model e per sostenere il lancio di una politica di industrializzazione che, nelle intenzioni e nelle previsioni prima della Svimez, e poi della Cassa per il Mezzogiorno, avrebbe definitivamente risolto il divario storico tra Nord e Sud della penisola.
Il “primo doppio divario”, dunque, si stava assottigliando grazie all’azione della Cassa nella sua fase infrastrutturale (Cringoli, 2021), ma il percorso non fu portato a termine: le istanze produttivistiche furono accantonate a causa della stagflazione successiva alle crisi energetiche degli anni Settanta, quando fu ricalibrato l’intervento straordinario, cercando di reggere il reddito meridionale attraverso propensioni assistenzialistiche. Negli anni seguenti alcune incongruenze di base riemersero: il Sud non era stato messo in condizione di rendersi autonomamente competitivo rispetto ai finanziamenti pubblici di vario genere (De Benedictis, 2008). Dagli inizi dell’età delle crisi riprese ad ampliarsi la forbice del “primo doppio divario”, poiché le aree interne del Sud divennero ulteriormente marginali e soggette a un nuovo spopolamento, a causa della situazione economica poco gratificante e della lontananza dai centri di servizi (Accetturo, de Blasio, 2022).
Bibliografia
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NOTE
[1] Legge 25 luglio 1952, n. 991, Titolo I.
[2] Ivi, Titolo II.
[3] Legge istitutiva della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale del 10 agosto 1950, n. 646, integrata con la legge del 25 luglio 1952, n. 949.
[4] Legge 22 marzo 1952, n. 166.
[5] Dalla legge 22 marzo 1952, n. 166 la Cassa investì i fondi della IBRD a seguito delle richieste inoltrate per sostenere progetti industriali nel Mezzogiorno.
[6] Archivio Storico ENEL (ASEN), sez. Napoli, VCA Sme, pos. C1 I3 2C, verbale del 23 novembre 1951.