Il tema dell’immigrazione è sempre più centrale in Italia. Un dato più di tutti ne spiega il perché: la quota di popolazione straniera residente è salita repentinamente da circa il 2% nel 2000 ad oltre l’8% nel 2016. Una crescita molto rapida in un periodo relativamente breve. L’immigrazione rappresenta, perciò, in Italia un fenomeno relativamente “nuovo”, a differenza di altri paesi come Francia e Germania già da tempo caratterizzati da una presenza massiccia di residenti di altre nazionalità.
L’immigrazione viene percepita da molti italiani come un “costo”, per di più insostenibile. L’emergenza dei rifugiati e le notizie di episodi violenti alimentano una narrazione dei flussi migratori basata sulla paura. E sono soprattutto le classi meno abbienti a percepire i rischi legati alla crescita dei flussi migratori perché avvertono maggiormente il pericolo di vedersi “rubare” il lavoro dagli immigrati e si sentono più esposte al peggioramento delle condizioni di sicurezza nelle periferie.
Tuttavia, sono disponibili molte informazioni sui benefici che gli immigrati regolari producono per la nostra economia. I dati mostrano che i migranti contribuiscono alle avverse dinamiche demografiche del paese, partecipano attivamente al mercato del lavoro e alla formazione del Pil e contribuiscono alla sostenibilità del nostro sistema previdenziale. Ma tutto questo non riceve la dovuta attenzione. Vale perciò la pena di commentare alcuni dei dati sul tema diffusi di recente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dall’INPS e dalla Fondazione Leone Moressa[1].
La questione demografica. Gli italiani sono sempre più vecchi. Tra il 2006 e il 2016 l’età media dei nativi italiani è passata da 42,1 a 44,2 anni. Nello stesso periodo, anche a causa del calo nelle nascite (in particolare al Sud), l’indice di vecchiaia è passato dal 139,9 al 161,4% (oltre 160 anziani per ogni 100 giovani). Sono evidenti le “complementarietà” con la componente immigrata della popolazione, in media molto più giovane (con un età media di 33,1 anni) e con un indice di vecchiaia pari al 18,1% (solo 18 anziani per ogni 100 giovani). I flussi migratori si mostrano, dunque, in grado di “alimentare” le fasce di età più giovani sempre meno numerose dei nativi italiani. Un problema particolarmente sentito al Sud, dove il deflusso di giovani tende a peggiorare il quadro. Il contributo degli immigrati diventa così fondamentale per contrastare le nostre dinamiche demografiche avverse. L’Eurostat stima che, in un ipotetico scenario “porti chiusi” (ipotizzando, cioè, di azzerare i flussi migratori extra UE) nel 2050 la popolazione italiana (di nativi e stranieri) diminuirebbe di 8 milioni. L’età media arriverebbe a 54 anni. Uno scenario insostenibile.
Il contributo economico e le condizioni lavorative degli immigrati. Il contributo degli immigrati regolari all’economia italiana è in costante crescita da anni. I lavoratori dipendenti stranieri erano 277.000 nel 1995. Da allora sono cresciuti fino a sfiorare i due milioni nel 2015. Sono aumentati soprattutto i flussi dei migranti non comunitari (extra Ue) e, a partire dal 2007, di quelli provenienti dai nuovi paesi membri dell’Ue. Il “Pil degli immigrati” è pari a circa 130 miliardi di euro (circa il 9% del Pil italiano), per oltre il 60% generato in quattro regioni: Lombardia, Lazio, Emilia Romagna, e Veneto. I settori nei quali gli immigrati contribuiscono maggiormente alla formazione del valore aggiunto sono “Alberghi e ristoranti” (18,4%), “Costruzioni” (17,4%) e “Agricoltura” (16,7%). La distribuzione territoriale degli occupati immigrati riflette la geografia delle opportunità di lavoro del paese: nel Centro-Nord l’incidenza degli occupati extra UE sul totale degli occupati è dell’8,2%. Il dato relativo al Mezzogiorno si ferma al 3,7%. Gli stranieri comunitari occupati incidono per il 4% nel Centro-Nord e solo per il 2% nel Mezzogiorno. Il settore che più di tutti ha assorbito l’imponente flusso di lavoratori immigrati evidenziato in precedenza è l’agricoltura, settore nel quale tra il 2007 e il 2016 l’incidenza dei lavoratori stranieri è triplicata raggiungendo quota 16,6% sul totale degli occupati. Nel commercio la quota è raddoppiata (dal 3,7 al 7,2%). La quota di occupati stranieri è cresciuta anche nel settore delle costruzioni, passando dal 12,7% al 17,1%. Il mercato del lavoro italiano presenta marcate diseguaglianze tra componente nativa e straniera dei lavoratori dipendenti. Tra i laureati italiani ben l’83,1% svolge ruoli dirigenziali, intellettuali o tecnici. Tra i laureati stranieri solo il 36,4% ricopre gli stessi ruoli. I lavoratori stranieri, a parità di mansioni, ricevono anche salari più bassi. Ad esempio, nel Mezzogiorno, il salario di un lavoratore extracomunitario è inferiore di quasi il 40% rispetto a quello di un italiano.
Il contributo degli immigrati alla sostenibilità del sistema previdenziale. L’Inps calcola che gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali. Un saldo netto di circa 5 miliardi. È chiaro che gli immigrati che oggi lavorano regolarmente faranno parte dei pensionati di domani. Ma in molti casi i contributi previdenziali degli immigrati non si tradurranno in pensioni. In particolare, l’INPS calcola che gli immigrati finora ci hanno “regalato” circa un punto di Pil di contributi sociali. Ogni anno gli immigrati versano nelle casse dell’INPS circa 300 milioni di euro di “contributi a fondo perduto”.
Tutto ciò svela il contributo divenuto ormai strutturale ed irrinunciabile dei migranti alla società e all’economia italiana. I flussi migratori non sono un fenomeno transitorio, sono strutturali e irreversibili, alimentati come sono dalla crescita demografica in espansione del continente africano. Bisogna perciò che la politica, anziché far leva sull’emotività delle reazioni dell’opinione pubblica, contribuisca a diffondere una lettura del fenomeno basata sulla realtà più che sulla percezione. Più che la propaganda sui temi della sicurezza, dell’emergenza dei rifugiati e dei costi dell’accoglienza, servirebbe alimentare la consapevolezza della rilevanza dei benefici (immediati, ma soprattutto di medio termine) associati ai flussi migratori. Servirebbero politiche di integrazione capaci di mettere a frutto le complementarietà tra “noi” e “loro”, anziché “chiudere i porti” al loro e al nostro futuro.
[1] Le fonti citate contengono molte altre interessanti informazioni alle quali rimandiamo per ulteriori approfondimenti.