Lo studio propone un approccio alla valutazione di coerenza delle priorità di investimento in innovazione, ricerca e sviluppo, individuate dalle regioni italiane attraverso le strategie di specializzazione intelligente definite nella programmazione europea 2014-2020 e 2021-2027. La metodologia applicata si basa sulla costruzione di un indicatore di complessità, che misura la capacità regionale di esportare prodotti innovativi e di soddisfare nuovi bisogni dei mercati, come strumento per identificare le potenzialità di specifici settori di attività economiche sui quali i territori possano investire.
[*] Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non sono attribuibili all’Istituzione di appartenenza
1. Introduzione
L’Unione Europea investe ingenti risorse finanziarie a sostegno dell’innovazione e della ricerca (Foglia, 2017). La Smart Specialisation Strategy (S3) è lo strumento che dal 2014 le Regioni ed i paesi membri dell’Unione europea devono adottare per individuare obiettivi, priorità, azioni in grado di massimizzare gli effetti degli investimenti in ricerca e innovazione, puntando a concentrare le risorse sugli ambiti di specializzazione caratteristici di ogni territorio (Foglia, 2023). La Smart Specialisation Strategy ha reso necessario per le autorità regionali italiane ed europee l’individuazione di un numero ristretto di domini di specializzazione tecnologici, in cui concentrare le risorse e verso cui orientare la politica di innovazione (Foray, 2015; Foray et al., 2012; McCann, Ortega-Argilés, 2013). Come evidenziato da D’adda et al 2020, la scelta dei domini di specializzazione è stata un compito particolarmente articolato, perché si è dovuto avviare una vera e propria ricomposizione del sistema di definizione e di aggregazione delle strutture produttive locali, facendo riferimento non più ai settori industriali ma ai domini tecnologici (Asheim, Grillitsch, 2015; Foray et al., 2011). L’enfasi sulla tecnologia piuttosto che su prodotti o servizi è un risultato delle fondamenta teoriche alla base della S3[2] (Iacobucci, Guccini 2016). Un ostacolo che le amministrazioni regionali hanno dovuto affrontare nel processo di progettazione delle strategie regionali e nazionali è la mancanza di metodologie e di dati adeguati, necessari alla fase di monitoraggio e valutazione, ritenute fondamentali dalla Commissione Europea per la realizzazione dei progetti. Tale carenza informativa è, in primis, spiegabile per via del fatto che i dati relativi alla specializzazione regionale sono generalmente organizzati in base ai codici di classificazione delle attività economiche (NACE). Questa classificazione si basa principalmente sulla descrizione di prodotti o servizi e potrebbe quindi non essere appropriata al fine di identificare le tecnologie che sono effettivamente utili per l’attività innovativa in un settore. Il problema diviene ancor più rilevante perché i prodotti infatti stanno diventando sempre più complessi e la loro produzione avviene attraverso l’uso di conoscenze provenienti da una pluralità di domini tecnologici eterogenei fra loro[3].
Nonostante i vari tentativi avviati di misurazione del fenomeno S3 in ambito regionale, nazionale e sovranazionale[4], la poca adeguatezza esplicativa dei dati disponibili e la loro scarsa omogeneità ha reso necessario avviare da parte dell’Istat una apposita raccolta di informazioni sulle dimensioni relative ai domini caratteristici della specializzazione intelligente.
Il primo censimento permanente delle imprese, la cui rilevazione si è conclusa alla fine del 2019, ha permesso di individuare, attraverso una sezione dedicata alle nuove traiettorie di sviluppo delle imprese del questionario di rilevazione, le dimensioni principali della Strategia di Specializzazione Intelligente: le traiettorie di crescita sperimentate dalle imprese nel triennio 2016-2018, i processi di sviluppo e innovazione del business aziendale (modernizzazione tecnologica, diversificazione dell’attività principale, transizione verso una nuova attività e trasformazione innovativa della propria attività); le aree di investimento (ricerca e sviluppo, tecnologie e digitalizzazione, capitale umano e formazione, internazionalizzazione, responsabilità sociale ed ambientale); la produzione ed utilizzo di tecnologie abilitanti, l’operatività nelle aree di specializzazione strutturate all’interno della Strategia di Specializzazione intelligente).
Le teorie evoluzionistiche avanzate da Hidalgo e Hausmann (2011) secondo cui i prodotti sono veicoli di conoscenza, in quanto accumulazioni fisiche di competenze produttive, possono quindi diventare indicative del sentiero di sviluppo intrapreso da una regione. Il concetto di complessità dei prodotti che emerge da tale teoria, permette di avviare una riflessione sulle strategie S3 adottate a livello regionale. Concentrando l’attenzione su di una particolare categoria di imprese solitamente più produttive, più innovatrici, più tecnologicamente avanzate quale è quella delle imprese esportatrici, si proverà a verificare se i sentieri di sviluppo designati dalle strategie s3 ben combaciano con queste imprese.
Pertanto, partendo dalla teoria esposta da Hidalgo et al (2014), e dalle due misure di diversità e ubiquità, attraverso cui misurano la complessità in un prodotto e in un Paese si è provato ad analizzare il tessuto produttivo regionale italiano. Le imprese esportatrici capaci di esportare diversificando i prodotti e producendo beni “rari” sono definibili complesse e dunque meritevoli di essere osservate attentamente per capire se nei territori in cui si trovano risulta esservi coerenza con i percorsi di sviluppo scelti dalle regioni con le aree S3. In linea di principio, la scelta dei domini tecnologici da parte delle regioni dovrebbe provenire da un’analisi delle effettive specializzazioni economiche, tecnologiche e di ricerca, onde identificare i domini con il maggior potenziale.
Gli obiettivi di questo lavoro sono i seguenti: a) proporre una metodologia basata sulla costruzione di un indicatore per descrivere la complessità dell’export italiano; b) utilizzare tale metodologia per un confronto preliminare fra i domini tecnologici scelti dalle regioni e l’indicatore di complessità al fine di valutare il loro grado di complementarità e la congruenza con le effettive capacità tecnologiche possedute dalle regioni in questi domini.
Diverse sono le metodologie e informazioni usate per monitorare e valutare le strategie di specializzazione intelligente, ma riveste particolare rilevanza la capacità informativa ed esplicativa delle esportazioni, poiché rappresentano la fase più matura per identificare un processo produttivo (capacità di commercializzare all’estero prodotti che possono incorporare innovazioni).
Il paper segue la seguente struttura: nel paragrafo 2 si mostrerà rapidamente la recente letteratura alla base del concetto di complessità; nel terzo paragrafo si spiegheranno i dati utilizzati nell’analisi e la metodologia applicata; nel quarto si mostreranno i risultati ed in seguito delle brevi conclusioni.
2. Letteratura di riferimento
Le teorie di Hidalgo e Hausmann (2011) spiegano come la complessità dei prodotti, possa essere indicativa del sentiero di sviluppo intrapreso da un Paese. Difatti i prodotti sono considerati come veicoli di conoscenza, in quanto accumulazioni fisiche di competenze produttive. Data questa natura di veicoli di conoscenza, il disporre di una maggiore quantità di conoscenza rende più probabile la produzione di una maggiore varietà di prodotti, in quanto sono più probabili nuove combinazioni di competenze che siano ritenute di valore e quindi prodotte da parte degli imprenditori. Hidalgo et al. (2014) sfruttano la presenza di due concetti fondamentali, quali quello della diversità e della ubiquità, per misurare la complessità.
I due autori definiscono “diversità” “the number of distinct products that it [a country] makes”, ossia la varietà di prodotti sviluppati da una nazione; essi chiamano, invece, “ubiquità” la diffusione produttiva di un certo bene (“the number of countries that make a product”). Hausmann e Hidalgo ricollegano i concetti di diversità ed ubiquità alla conoscenza intrinseca di un sistema economico, formulando due ipotesi. La prima è: “[…] we can expect the diversity of […] products that a […] country can make to be strongly related to the number of […] capabilities that […] it has”. Perciò, essi ipotizzano che una maggiore varietà dei prodotti (diversità) sia conseguenza di una maggiore quantità di conoscenza produttiva all’interno del paese. La seconda ipotesi è: “ubiquitous products are more likely to require few capabilities, less ubiquitous products are more likely to require a large variety of capabilities”. Si suppone perciò che, al crescere della quantità di conoscenza alla base di un certo prodotto, si riduca il numero di paesi in grado di produrlo (ossia si riduca l’ubiquità del prodotto stesso)
Accettando queste ipotesi, le due misure di diversità ed ubiquità, permettono di valutare la relazione reciproca tra produttori e prodotti, e rappresentano la chiave per comprendere e quantificare il sostrato conoscitivo di un paese: secondo Hausmann e Hidalgo, infatti, “the amount of knowledge that a country has is expressed in the diversity and ubiquity of the products that it makes”. In questa ultima istanza secondo vi è secondo gli autori la vera determinante dello sviluppo economico e della prosperità di un territorio.
Nel nostro caso specifico caso l’analisi non riguarda i singoli paesi ma le regioni dell’Italia prese singolarmente come territori a sé stanti per individuare delle associazioni e/o coerenze con le strategie S3. Nel successivo paragrafo si delineerà il tentativo metodologico attraverso il quale si è provato ad effettuare tale analisi.
3. I dati e la metodologia
La complessità presente nelle imprese esportatrici italiane è stata misurata utilizzando i dati sul commercio estero di fonte Istat e quelli relativi alla struttura economica delle imprese Frame-SBS. I dati sulle esportazioni di fonte Istat-Commercio Estero per l’anno 2017 forniscono il valore di tutti i prodotti esportati ad un elevato livello di precisione merceologica (NC8)[5]. Abbinando questa rilevante informazione a quella relativa all’impresa che ha esportato quel determinato prodotto, attraverso il Frame SbS[6], si rende possibile elaborare un indice di complessità relativo di export.
Partendo dalle ipotesi teoriche di Hidalgo et al (2011), infatti, si definirà una impresa esportatrice come “complessa” se sarà dotata contemporaneamente di due caratteristiche quella relativa alla “diversificazione” e quella della “non ubiquità”.
Il concetto di “diversificazione” è insito nel fatto che se una impresa è capace di vendere diversi prodotti all’estero, più di quanto non siano capaci di fare le altre imprese afferenti al suo stesso settore di Attività Economica, allora essa è molto probabilmente dotata di particolari “capabilities”, tali per cui potrebbe meritare di essere definibile come complessa.
In modo più formale, essendo i l’impresa e j il settore di afferenza dell’impresa stessa, e n il numero di prodotti nc8 esportati, allora la variabile diversificazione è:
La variabile di diversificazione è dunque da noi calcolata come una variabile binaria, che assume valore 1 se il numero di prodotti esportati (a livello di nc8) da una impresa è superiore al numero di prodotti che in media sono esportati dalle imprese esportatrici afferenti allo stesso codice ATECO[7], altrimenti assume valore zero.
L’idea alla base del concetto di “non ubiquità” invece consiste nell’idea secondo la quale se una impresa è capace di vendere all’estero un prodotto che solo in pochi sono capaci di esportare, allora tale impresa è molto probabilmente dotata di un know-how o di caratteristiche tali da essere segnalabile come impresa complessa. La variabile “non ubiquità” è dunque, anch’essa stata elaborata in modo binario, assumendo valore 1 quando una impresa è capace di vendere all’estero un prodotto che altri non riescono a vendere, altrimenti è pari a zero. In pratica, questa variabile binaria assume valore 1 se l’impresa esporta almeno un prodotto (nc8) che è venduto all’estero da poche altre imprese, intendendosi verificato il “poche altre imprese”, se il numero di imprese che esportano quel prodotto nc8 è inferiore al numero medio di imprese che esportano quel nc8 nell’ATECO dell’impresa allora quella impresa è “non ubiqua” o rara.
In modo più formale:
La simultanea presenza, dunque, della capacità di una impresa di diversificare le proprie vendite all’estero e di esportare prodotti particolari da risultare “rari” (non ubiqui), fa sì che una impresa venga definita come complessa. Ossia:
Nello specifico le imprese esportatrici che nel 2017 hanno esportato beni all’estero sono state 125 mila (si veda Tabella 1), di cui il 30% con sede in Lombardia. Le imprese esportatrici definibili come complesse, seguendo la metodologia di cui sopra, sono invece circa il 24% poco meno di 30 mila imprese.
Tabella 1 – Imprese esportatrici ed imprese complesse per regione (valori assoluti e percentuali)
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
Le informazioni relative alle imprese complesse sono poi state incrociate con i settori di specializzazione individuati dalle singole regioni (descritte di seguito).
4. Perimetrazione delle aree di specializzazione e attività economiche
Al fine di individuare un livello di coerenza tra investimenti programmati e potenzialità o valenza strategica delle aree regionali si è proceduto ad associare ai domini regionali di specializzazione intelligente le attività economiche attraverso le fonti di dati Istat aggregate per ATECO, il valore e l’entità delle esportazioni.
Relativamente all’associazione tra attività economiche e domini regionali S3, pur essendo disponibile una ricca piattaforma di informazioni contenute nel tool disponibile online sul sito S3 Platform del centro di ricerca JRC della Commissione Europea[8], si è preferito sfruttare la potenza esplicativa derivante dal Censimento delle imprese Istat 2019. In tal modo, ci si è garantiti la possibilità di raccordo a livello di singolo micro-dato per impresa, dato questo necessario per linkare l’informazione “impresa complessa” con l’indicazione di appartenenza ad una delle dodici aree di specializzazione intelligente[9].
Per associare l’informazione sulla complessità delle imprese, dunque, si è proceduto a perimetrare le aree attraverso le attività economiche delle imprese che hanno indicato di operare in una o più di una delle 12 aree di specializzazione intelligente. L’informazione deriva dalle frequenze statistiche di auto-assegnazione alle aree da parte delle imprese nella rilevazione del Censimento permanente delle imprese del 2019[10].
Le 12 aree (Aerospazio, Agrifood, Blue growth, Chimica verde, Design, creatività e Made in Italy, Energia, Fabbrica Intelligente, Mobilità sostenibile, Salute, Smart, Secure and Inclusive Communities, Tecnologie per gli Ambienti di Vita e Tecnologie per il Patrimonio Culturale) sono state quindi perimetrate con i codici ATECO a 2 digit. Ogni attività economica può essere legata ad una o più aree, in coerenza con la filosofia della strategia che prevede la presenza di filiere costituite da più aree di specializzazione.
L’associazione tra l’attività economica delle imprese attive in una o più di un’area e le dodici aree di specializzazione intelligente è basato sull’utilizzo di due indicatori: 1) area di specializzazione prevalente tra le dodici, individuata con la quota di imprese maggiore sul totale imprese di ogni ATECO a 5 digit; 2) quota di imprese maggiore in ogni ATECO a 5 digit, rispetto al valore dell’intera economia. Nel caso in cui i due indicatori selezionano la stessa area questa risulta la prevalente, se risultano aree diverse vengono considerate entrambe. Per ogni codice ATECO a 2 digit sono state considerate tutte le aree selezionate nei rispettivi codici a 5 digit.
5. Sintesi delle aree di specializzazione indicate nelle S3 regionali
L’implementazione della S3 esigeva dalle regioni di selezionare un numero definito di domini tecnologici su cui concentrare gli investimenti per ricerca e sviluppo e innovazione. L’individuazione delle traiettorie di sviluppo regionali prevedeva un’analisi dei punti di forza regionali, per identificare i domini a maggior potenziale di innovazione.
Lo sforzo da parte delle amministrazioni regionali nella definizione delle priorità di investimento richieste dalla strategia S3 ha condotto, nei casi di territori con tessuti produttivi più evoluti, a distinguere tra, aree strategiche e potenziali[11], per le traiettorie di sviluppo dell’economia regionale.
In questo lavoro, le aree di specializzazione di ogni regione sono state desunte dal documento di raccordo che l’Agenzia per la Coesione Territoriale ha elaborato dall’analisi delle strategie di specializzazione regionali[12]. Le tavole di corrispondenza pubblicate nel documento contengono il collegamento tra le aree di specializzazione e le traiettorie di sviluppo regionali individuate nelle singole strategie di specializzazione intelligente, e risultano rilevati poiché valorizzano le informazioni contenute anche a livello di sub-traiettorie regionali. Di seguito le aree di specializzazione che ogni regione ha scelto nella propria strategia di specializzazione regionale.
Tabella 2 – Aree di priorità indicate nelle strategie di specializzazione intelligente regionali
Fonte: nostra elaborazione su dati dell’Agenzia per la Coesione Territoriale
6. Analisi e risultati
Per individuare le aree che risultano avere specifici livelli di complessità regionale in determinate aree di specializzazione, sono state quindi comparate le imprese complesse con le singole aree di specializzazione attraverso il raccordo dell’attività economica a 2 digit dell’impresa.
Per ogni regione sono evidenziate in verde le aree di specializzazione con quote di imprese complesse rilevanti rispetto all’ammontare regionale (Tabella 3). Poiché l’indice di complessità adottato seleziona unità economiche che incarnano un’elevata capacità innovativa e complessità anche organizzativa trattandosi di imprese esportatrici, sono stati ritenuti sufficienti valori regionali nelle singole aree anche inferiori di un punto percentuale rispetto alla quota regionale totale usata per la comparazione.
Le aree selezionate dalle regioni nelle strategie di specializzazione regionale sono visualizzabili nelle celle contornate di rosso. E’ stato quindi proposto un grado di coerenza[13] tra le aree di specializzazione selezionate dalle regioni e la complessità produttiva rappresentata dalla capacità di innovare in ognuna delle dodici aree di specializzazione. Sulla base della metodologia applicata risulta che circa la metà delle regioni presenta una coerenza alta (Abruzzo, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta) e cinque regioni hanno una coerenza bassa (Bolzano, Calabria, Puglia, Sardegna, Umbria).
Tabella 3 – Imprese esportatrici “complesse” sul totale delle imprese esportatrici per area di specializzazione intelligente (%) e grado di coerenza con le strategie di specializzazione regionale
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
Si nota anche che non tutte le aree individuate dalle regioni posseggono particolare rilevanza in termini di complessità nelle esportazioni: in ogni regione sono presenti aree individuate come prioritarie che si discostano dal livello medio dell’indice di complessità.
In generale risulta che le regioni hanno indicato più aree di specializzazione di quelle che l’indicatore di complessità sembra segnalare (le celle in verde), e in taluni casi si sarebbe, invece, potuta dare priorità ad aree diverse (es. in Abruzzo l’indicatore segnala una presenza rilevante di imprese complesse sulla Smart community piuttosto che su mobilità e salute).
7. Conclusioni
Negli ultimi quindici anni le Regioni ed i paesi membri dell’Unione europea hanno adottato e individuato obiettivi, priorità, azioni per massimizzare gli effetti degli investimenti in ricerca e innovazione, puntando a concentrare le risorse sugli ambiti di specializzazione caratteristici di ogni territorio. L’implementazione della Smart Specialisation Strategy ha richiesto alle regioni di selezionare un numero definito di domini tecnologici su cui concentrare gli investimenti per ricerca e sviluppo e innovazione. L’individuazione delle traiettorie di sviluppo regionali ha pertanto previsto un’analisi dei punti di forza regionali, per identificare i domini a maggior potenziale di innovazione. Il nuovo ciclo di programmazione comunitaria 2021-2027 necessita di strumenti di monitoraggio per individuare nuove traiettorie di sviluppo territoriali. Su queste premesse gli indicatori di complessità regionali elaborati nel presente lavoro possono essere di ausilio nel comprendere la reale coerenza delle strategie adottate.
La misurazione della complessità a livello di singola impresa risulta rilevante poiché ha permesso di aggregare l’informazione dei settori di attività economiche associati alle aree prioritarie selezionate dalle regioni, e quindi indagare su quali ambiti si fondano le potenzialità effettive, o le aree più deboli da sviluppare per la regione. In questo senso, ad esempio, si può far valere il dato sulla quota consistente di imprese complesse nel settore dell’industria alimentare della regione Sardegna, rispetto ad altri ambiti, quale elemento confermativo dell’inclusione del settore agroalimentare nella strategia di specializzazione della regione.
In generale risulta che le aree prioritarie suggerite dall’indice di complessità sono mediamente inferiori a quelle selezionate dalle regioni. Oltre che come strumento per segnalare le traiettorie di sviluppo da perseguire, la metodologia presentata può essere quindi utilizzata per limitare la selezione delle aree escludendo quelle al di sotto di una soglia definita.
Rispetto all’impianto metodologico adottato bisogna comunque tenere conto che il grado di coerenza proposto è influenzato dal numero di aree scelte dalle regioni nelle proprie strategie, in quanto con poche aree aumenterebbe la possibilità di coerenza con la complessità rilevata. Nello stesso tempo una selezione più mirata da parte delle regioni può suggerire una maggiore consapevolezza dei settori economici prioritari per il proprio territorio, nonché l’aderenza alla filosofia della strategia S3 nel non disperde risorse limitate.
Possibili sviluppi futuri sono stati pianificati per garantire maggiore robustezza alla metodologia in due direzioni. Replicando l’applicazione dell’indice di complessità in serie storica per individuare elementi di continuità che confermino le analisi cross-section fin qui presentate. Ampliare la scala di misurazione dell’indice per rendere la misura di complessità non dicotomica, aumentando le categorie per includere un livello di complessità intermedio e disporre di una gradazione alta, media e bassa.
8. Riferimenti Bibliografici
- Asheim B.T., Grillitsch M. (2015), “Smart specialisation: Sources for new path development in a peripheral manufacturing region”, Lund Univeristy, CIRCEL Papers in Innovation Studies n. 2015/11. 1-27.
- D’Adda D., Iacobucci D., Palloni R., (2020) “Smart Specialisation Strategy: come misurare il grado di embeddedness e relatedness dei domini tecnologici”, in REGIONAL DEVELOPMENT TRAJECTORIES BEYOND THE CRISIS, a cura di Marco Bellandi, Bianca Biagi, Alessandra Faggian, Emanuela Marrocu, Stefano Usai, Franco Angeli editori
- D’Adda D., Iacobucci D., Palloni R., (2020) “Relatedness in the implementation of Smart Specialisation Strategy: a first empirical assessment”, Papers in Regional Science. 99:405-425.
- D’Adda, D., Guzzini, E., Iacobucci, D., & Palloni, R. (2019). “Is Smart Specialisation Strategy coherent with regional innovative capabilities?” in Regional Studies, 53, 1004 – 1016.
- D’Adda, D., Iacobucci, D., & Perugini, F. (2021). “Smart Specialisation Strategy in practice: have regions changed the allocation of Structural Funds?” Regional Studies, 1-16.
- Foglia F., (2017) “Coesione nell’UE: una valutazione d’impatto delle politiche per l’innovazione 2014-2020,” Regional Economy, vol. 1(Q3). https://www.regionaleconomy.eu/rivista/re/coesionevalutazione-politiche-innovazione/ 2.
- Foglia, F. Is smart specialisation monopolising the research on the EU cohesion policy? Evidence from a bibliometric analysis. Scientometrics128, 1001–1021 (2023). https://doi.org/10.1007/s11192-022-04585-2
- Foray D. (2015), “Smart Specialisation. Opportunities and Challenges for Regional Innovation Policy”. London: Routledge.
- Foray D., David P.A., Hall B.H. (2011), Smart specialisation – From academic idea to political instrument, the surprising career of a concept and the difficulties involved in its implementation. Lausanne, CH: EP
- Hausmann, R. et al. (2014). The Atlas of Economic Complexity; mapping paths to prosperity. Section 3. http://atlas.cid.harvard.edu/
- Hausmann, R. and Hidalgo, C.A. (2011). The Network Structure of Economic Output. Journal of Economic Growth
- Hidalgo C.A., Klinger B., Barabasi A.L., Hausmann R. (2007), The product space conditions the development of nations. Science, 317, 5837: 482-487. Doi:10.1126/ science.1144581
- Iacobucci D., Guzzini E., (2016), The smart specialization strategy of Italian regions and links among technological domains. Scienze Regionali – Italian Journal of Regional Science, 15, 3: 5-28.
- Istat, Indicatori per la strategia di specializzazione intelligente, 2022 https://www.istat.it/it/archivio/273548
- Philip McCann & Raquel Ortega-Argilés (2015) Smart Specialization, Regional Growth and Applications to European Union Cohesion Policy, Regional Studies, 49:8, 1291-1302, DOI: 1080/00343404.2013.799769
[2] In questa strategia infatti, particolare enfasi è posta sull’obiettivo di collegare ricerca e innovazione, nonché sulla diversificazione delle produzioni regionali.
[3] Questa tendenza risulta evidente se si pensa alla crescente rilevanza delle tecnologie trasversali (key enabling technologies): tecnologie che possono avere importanti applicazioni in molteplici settori, talvolta distanti da quelli in cui sono state sviluppate originariamente.
[4] Si veda al riguardo https://s3platform.jrc.ec.europa.eu/map/- /eye3/y/2014-2020
[5] La Nomenclatura combinata europea NC8 è la classificazione economica delle merci adottata nelle rilevazioni del commercio estero dai paesi dell’Ue. E’ costituita da raggruppamenti di merci ad otto cifre, che si raccordano con i codici di attività economica delle imprese, ed è utilizzata all’interno dell’Unione europea a scopi statistici e per la definizione delle tariffe per il commercio internazionale. I codici dei prodotti utilizzati in questo lavoro sono 6.694 relativi alle attività di esportazioni di 125.920 imprese esportatrici, dati relativi all’anno 2017.
[6] Il Frame SBS è un sistema integrato di dati amministrativi e statistici, realizzato annualmente dall’Istat per la stima dei risultati economici delle imprese, a partire dalle unità incluse nel registro statistico delle imprese (ASIA). Per maggiori informazioni si veda: Il trattamento delle fonti amministrative per la costruzione del sistema informativo sui risultati economici delle imprese italiane (Frame SBS) (istat.it)
[7] classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat per finalità statistiche (nde)
[8] https://s3platform.jrc.ec.europa.eu/ map/-/eye3/y/2014-2020
Le informazioni aggiornate nella piattaforma S3 sono di estremo interesse e rilevanza in particolare per effettuare confronti tra livelli territoriali diversi e tra paesi europei. Il Joint Research Centre indica comunque: “The Eye@RIS3 has been developed as a tool to help strategy development rather than a source of statistical data”.
[9] Inoltre, i domini economici della piattaforma di JRC sono ad un dettaglio di 2 digit della classificazione dei settori economici di Eurostat (NACE 2), mentre qui sono stati utilizzati i codici a 5 digit più strettamente legati all’attività dell’impresa.
[10] Nel questionario del primo Censimento permanente delle imprese nella sezione relativa alla Strategia di Specializzazione Intelligente è stato rilevato il dato sull’auto-assegnazione delle imprese ad una o più aree di specializzazione
[11] Si veda ad esempio la S3 dell’Emilia Romagna che suddivide in aree di priorità A, per i sistemi produttivi che costituiscono i pilastri dell’economia regionale, e priorità B, per i sistemi produttivi ad alto potenziale di crescita. https://fesr.regione.emilia-romagna.it/s3/monitoraggio
[12] https://www.agenziacoesione.gov.it/wp-content/uploads/2019/06/Allegato3_Quadro_e_Tavole_corrispondenza.pdf
[13] Coerenza bassa: fino a 33% di aree coerenti; coerenza media: fino a 66%; coerenza alta: maggiore del 66% di aree coerenti con il livello di complessità produttiva.