L’obiettivo dell’articolo è analizzare se le differenze tra regioni italiane nei tassi di vaccinazione per il COVID-19 sono spiegate da differenze nei livelli di capitale sociale. I risultati mostrano che gli italiani non hanno deciso di vaccinarsi rispondendo a caratteristiche specifiche dei contesti regionali. La natura altruistica della scelta di vaccinarsi viene testata facendo ricorso a sei diverse misure di capitale sociale, solo una delle quali risulta statisticamente significativa (e con il segno atteso). Questi risultati supportano l’idea che i fattori culturali possono aver inciso a livello individuale ma non emergono differenze regionali catturate dalle proxy del capitale sociale. Scarica il PDF
Il ruolo dei fattori socio-culturali dalla prima ondata della pandemia alla campagna di vaccinazione
Lo shock da COVID-19 ha suscitato un crescente interesse tra economisti, alimentando una nutrita letteratura empirica. Oltre che aspetti strettamente economici – come, ad esempio, la selettività delle perdite sofferte da lavoratori, imprese e territori diversamente esposti allo shock (per l’Italia, tra gli altri, Bianchi et al., 2021; Marino e Tebala, 2021) – una “prima ondata” di studi ha indagato anche i fattori sociali e culturali che hanno rallentato o accelerato la diffusione del virus. In quest’ambito, si è anche fatto ricorso ad alcune misure di “capitale sociale”, un concetto molto ampio, complesso e dibattuto che comprende diversi aspetti sociali, culturali e relazionali come la fiducia nei rapporti interpersonali, il civismo, la partecipazione sociale e politica, l’agire individuale orientato a perseguire l’interesse della collettività[1].
L’effetto del capitale sociale sulla diffusione del virus è stato studiato ad esempio da Bartscher et al. (2021) concludendo che in alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, nei primi mesi della pandemia i contagi sono aumentati più lentamente nelle province caratterizzate da un maggior civismo (approssimato da più elevati tassi di affluenza alle elezioni politiche). Con riferimento alle regioni italiane, un primo contributo ha guardato allo scarso civismo come possibile determinante della “fuga ai treni” di lavoratori e studenti meridionali che lasciavano le regioni del Nord per raggiungere i luoghi d’origine dove il contagio era ancora limitato. In questo caso, è stato osservato che i comportamenti di chi “fuggiva” contrastavano con le tesi del capitale sociale, ridando centralità al ruolo dell’azione pubblica nel limitare la piena sovranità dei comportamenti individuali (Ercolano, 2020).
Studi successivi si sono concentrati sull’efficacia delle cosiddette non-pharmaceutical interventions (NPI), cioè le misure di contrasto alla diffusione del virus basate sul distanziamento sociale e sulla sospensione delle attività economiche non essenziali. Il ruolo svolto dai fattori socio-culturali è stato indagato anche in quest’ambito. Studi sulle regioni italiane e analisi cross-country sui paesi europei hanno osservato, pur in presenza di alcuni distinguo, una maggiore condivisione delle NPI e una maggiore adesione alla loro adozione, nei contesti sociali più orientati a comportamenti cooperativi e più maturi in termini di partecipazione civile (Alfano e Ercolano, 2020, 2021; Alfano, 2022). Anche un recente studio condotto nella provincia dell’Hubei in Cina suggerisce che il capitale sociale influenza la risposta alla pandemia facilitando l’azione collettiva e promuovendo l’accettazione delle misure di contenimento sulla base della fiducia nelle istituzioni (Wu, 2021).
Infine, l’avvio della campagna vaccinale ha orientato l’interesse verso i fattori socio-culturali che influiscono sull’attitudine a vaccinarsi per il COVID-19. Per l’Italia, ad esempio, Salerno et al. (2021), in uno studio basato su un campione di studenti, hanno trovato una correlazione inversa tra la condivisione di affermazioni complottiste e l’attitudine a vaccinarsi. Uno studio sul caso israeliano ha invece confermato l’evidenza dell’efficacia dello strumento del green pass come surrogato dell’obbligo vaccinale (Saban et al., 2021). Ferwana e Varshney (2021), inoltre, hanno esaminato il ruolo del capitale sociale nelle differenze nei tassi di vaccinazione nelle contee statunitensi mostrando, tra l’altro, come le misure di capitale sociale utilizzate siano negativamente associate all’esitazione a vaccinarsi. Anche un’indagine condotta attraverso interviste nello slum di Pau da Lima della città di Salvador, in Brasile, ha messo in luce la correlazione tra la propensione a vaccinarsi e diversi fattori demografici e culturali, anche legati al capitale sociale (Aguilar Ticona et al., 2021).
Posto che tra le motivazioni che possano aver spinto gli italiani a vaccinarsi per il COVID-19 ci sono anche l’altruismo o il civismo, e che queste sono sussunte anche nel concetto di capitale sociale, l’obiettivo di questo lavoro è di verificare se esiste un legame tra capitale sociale e tassi di vaccinazione tra le regioni italiane. Il caso italiano, ampiamente studiato dalla letteratura che indaga il ruolo del capitale sociale, è di particolare interesse per verificare se, a livello territoriale, esistono fattori culturali inclusi nel concetto di capitale sociale che possano aver avuto un ruolo nelle differenze osservabili nei tassi di vaccinazione. Infatti, diversi studi mostrano come nelle regioni meridionali la dotazione di capitale sociale, misurata da alcuni indicatori come il numero di associazioni, di cooperative o le donazioni di sangue, o da indicatori di civismo, come la partecipazione elettorale o la lettura di quotidiani, risulta storicamente inferiore rispetto al Centro-Nord (Putnam et al., 1993; Cartocci, 2007; Calcagnini e Perugini, 2019).
Basandoci sui dati del “Report Vaccini Anti COVID-19”, studiamo la possibile natura altruistica della scelta di vaccinarsi facendo ricorso a sei diverse misure di capitale sociale, solo una delle quali risulta statisticamente significativa e con il segno atteso. I risultati sembrano indicare che se i fattori culturali hanno svolto un ruolo per ciò che riguarda la vaccinazione per il COVID-19 a livello individuale, non si riscontrano differenze regionali correlate agli indicatori di capitale sociale.
Perché gli italiani si sono vaccinati per il COVID-19?
Consapevoli che un tema così complesso meriterebbe ben altri approfondimenti, in prima approssimazione, si può dire che gli italiani hanno deciso di vaccinarsi per il COVID-19 seguendo incentivi che ricadono in due gruppi. Il primo è quello dei benefici personali percepiti: ridurre il rischio di contrarre il virus e di essere ospedalizzato, o preservare le occasioni di socialità (viaggiare, andare al bar o al ristorante) dopo l’introduzione del green pass. Al secondo gruppo appartengono invece gli incentivi altruistici: ci si vaccina anche nell’interesse degli altri, per ridurre il rischio di contagio dei più fragili, per salvaguardare la continuità delle attività economiche, per alleviare la pressione sul sistema sanitario. A queste motivazioni si aggiungono, poi, gli obblighi diretti o indiretti via via introdotti per accrescere la copertura vaccinale della popolazione.
Le due finalità hanno entrambe la loro valenza: come confermato da un recente studio, anche se il vaccino non esclude la possibilità di contrarre il virus e di contagiare, vaccinarsi contribuisce a contenere la circolazione del virus (Abu-Raddad, 2022).
Una prima indicazione sulle motivazioni che hanno guidato la scelta di vaccinarsi per COVID-19 può venire da alcune evidenze dell’era “pre-COVID”. In una rilevazione Eurobarometro del 2019 veniva chiesto agli italiani di esprimersi sulla seguente affermazione: “I vaccini sono importanti per proteggere non solo se stessi, ma anche gli altri”. Il 47,4% degli intervistati ha dichiarato di essere totalmente d’accordo con l’affermazione, il 33,3% di essere tendenzialmente d’accordo, il 13,3% in disaccordo e solo il 3,1% in totale disaccordo. Dunque, prima della pandemia oltre l’80% degli italiani rivelava motivazioni almeno in parte altruistiche per vaccinarsi. È evidente d’altra parte che la campagna di vaccinazione anti-COVID ha avuto caratteristiche del tutto peculiari che non permettono di inferire alcunché da questa indagine.
In Italia l’avvio della campagna vaccinale è stato fortemente caratterizzato da messaggi che enfatizzavano l’aspetto altruistico della vaccinazione anche se l’evoluzione della pandemia ha dimostrato che i vaccinati possono ammalarsi e, dunque, infettare. È plausibile ipotizzare che le motivazioni altruistiche abbiano, per lo meno in una prima fase, interagito con motivazioni egoistiche nel determinare la scelta individuale di vaccinarsi. In astratto, è perciò possibile che differenze culturali – anche quelle sussunte nell’ampio concetto di capitale sociale – abbiano avuto un ruolo nelle differenze territoriali nei tassi di vaccinazione.
La campagna di vaccinazione è avanzata senza differenze significative tra Nord e Sud
La campagna vaccinazione è iniziata il 27 dicembre 2020, procedendo con una certa discontinuità organizzativa, soprattutto in materia di “aventi diritto”. La Figura 1 riporta le dosi di vaccino per abitante somministrate nelle regioni italiane fino al 24 dicembre 2021, quando il Decreto-legge 221/2021 ha condizionato la partecipazione ad una serie di attività al possesso del green pass rafforzato, ovvero del certificato attestante l’avvenuta vaccinazione. I valori sono compresi tra un minimo di 1,69 (Sicilia) e un massimo di 1,84 (Molise).
Consapevoli dei limiti di un’analisi basata su dati aggregati, è di interesse testare eventuali differenze regionali nell’avanzamento della campagna vaccinale stimando la seguente equazione (1):
dove le dosi di vaccino (v) somministrate nella regione r al giorno t espresse in rapporto alla popolazione, dipendono dallo stock di dosi somministrate nella medesima regione sino al giorno precedente anch’esso espresso in termini pro capite, da due dummy di macro-area, dalla quota di popolazione under 12, e da una matrice di effetti fissi temporali T.
La ratio dell’inclusione della prima variabile è catturare i diversi livelli di efficienza dei sistemi di vaccinazione regionali, le differenti modalità organizzative locali della campagna vaccinale (relative, per esempio, all’ordine di priorità accordato a diverse categorie di pazienti) e altri possibili fattori che possono aver inciso sull’avanzamento della campagna. Il segno positivo e statisticamente significativo di indica che in effetti lo stock di vaccini somministrati sino a quel momento è positivamente correlato alla quantità di vaccini pro capite giornalmente somministrati (Tab. 1).
La variabile U12 misura la quota della popolazione under 12, ammessa alla vaccinazione solo dal 16 dicembre 2021; il segno negativo del coefficiente b4 segnala che ovviamente il numero di vaccinazioni pro capite a livello regionale è più basso nelle regioni dove è maggiore l’incidenza degli under 12.
Gli effetti fissi di tempo T (per mesi) catturano gli shock nazionali ed internazionali che possono aver condizionato la velocità della campagna vaccinale (ad esempio, il cambio del Commissario straordinario per l’emergenza, l’introduzione dell’ordine di priorità per età, o le variazioni nell’approvvigionamento di vaccini).
Avendo controllato per fattori di contesto regionali e shock esogeni, i coefficienti associati alle dummy di macro-area dovrebbero segnalare l’adozione di motivazioni dei vaccinati disomogenee tra territori. Il fatto che nessuna delle due dummy sia statisticamente significativa, è una preliminare evidenza del contrario: gli italiani non hanno deciso di vaccinarsi rispondendo a caratteristiche specifiche dei rispettivi contesti territoriali di riferimento.
Vaccinazioni COVID-19 e altruismo
In base all’evidenza appena riportata, non si osservano differenze tra macro-aree nell’avanzamento della campagna vaccinale legate a fattori territoriali. Possiamo perciò spingerci oltre nell’analisi, stimando la seguente equazione a livello regionale:
dove alle variabili già descritte, nell’equazione (1) sono aggiunte, alternativamente, le seguenti misure di capitale sociale:
- NoProfit: numero di associazioni no profit ogni centomila abitanti (ISTAT, 2019);
- Ass.NoProfit: numero di dipendenti di associazioni no profit ogni centomila abitanti (ISTAT, 2019);
- Donazioni sangue: numero di donazioni di sangue ogni centomila abitanti (AVIS, 2020);
- CONI: numero di associazioni sportive affiliate al CONI ogni centomila abitanti (CONI, 2017);
- Tolleranza: risposte alla domanda sulla tolleranza in World Value Survey (Tabellini, 2009);
- Fiducia: risposte alla domanda sulla tolleranza in World Value Survey (Tabellini, 2009).
La letteratura suggerisce di stimare l’equazione (2) impiegando degli stimatori ad effetti fissi, per controllare implicitamente per tutte le variabili invarianti in ciascuna regione (region-invariant) quali, ad esempio, l’età media o la qualità del sistema sanitario regionale. Le misure di capitale sociale sono però time-invariant e non è quindi possibile stimarne l’impatto in una stima ad effetti fissi. L’equazione (2) è stata perciò stimata impiegando un modello ad effetti ibridi, che permette di stimare effetti fissi in modelli ad effetti random (Schunck, 2013; Wooldridge, 2010).
Com’è possibile osservare nella Tab. 2, nessuna delle misure di capitale sociale è statisticamente significativa, con l’unica eccezione di CONI (al 10%), che è probabilmente la proxy meno idonea di altruismo[2].
Conclusioni
Obiettivo del lavoro è stato quello di verificare se le differenze regionali nei tassi di vaccinazione siano, almeno in parte, spiegate da differenze nel capitale sociale. I risultati ottenuti mostrano come solo una delle variabili utilizzate per misurare la dotazione di capitale sociale regionale sia correlata ai tassi regionali di vaccinazione.
Consapevoli dei limiti della nostra analisi, è comunque possibile avanzare due possibili interpretazioni di questi risultati. Dando per buona l’affidabilità delle variabili impiegate come misure di capitale sociale, dovremmo concludere che la finalità altruistica non sia stata significativa nella scelta di vaccinarsi degli italiani, ovvero che tale motivazione – che può aver avuto una sua rilevanza a livello individuale – non ha valenza a livello regionale.
In definitiva, il fatto che non esista un gradiente Nord-Sud nei tassi di vaccinazione, mentre esiste per tutti gli indicatori di capitale sociale, sembrerebbe supportare l’idea che i fattori culturali possono aver inciso a livello individuale, ma in assenza di differenze regionali significative catturate dalle proxy del capitale sociale.
D’altra parte, non si può escludere una seconda possibile interpretazione: il concetto di capitale sociale è difficilmente misurabile ricorrendo a grandezze direttamente osservabili. Perciò la finalità altruistica può aver inciso senza essere catturata dagli indicatori utilizzati nelle stime; è cioè possibile che gli indicatori abitualmente usati in letteratura siano parziali o misurino aspetti diversi da quelli che possono aver influito sulla disponibilità a vaccinarsi. Questa seconda interpretazione rafforzerebbe i dubbi sull’affidabilità delle analisi empiriche che utilizzano il concetto di capitale sociale (Durlauf, 1999). Dubbi che discendono dalla natura del concetto stesso, alla quale sono associate da sempre, e sin dalle primissime applicazioni, oggettive difficoltà di definizione e misurazione.
Note:
[1] Sulle molteplici definizioni e misure del capitale sociale si vedano, tra gli altri, Boix e Posner (1998) e Sabatini (2009).
[2] Come ulteriore analisi di robustezza abbiamo replicato l’analisi anche su altre misure di capitale sociale che tuttavia non sono risultate significative
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