Due elementi di originalità caratterizzano il paper: 1) l’utilizzo di vari indicatori di benessere equo e sostenibile come proxy di fattori socio-ambientali; 2) la distinzione delle imprese secondo la classificazione di Pavitt. I risultati evidenziano che la produttività del lavoro è influenzata da esternalità negative. Tale influenza è più marcata nei settori tradizionali, caratterizzati dalla presenza di piccole imprese. Per contrastare questo “fallimento del mercato” è necessario che: 1) le piccole imprese crescano di dimensione e/o collaborino con altre imprese nazionali e internazionali; 2) lo Stato contrasti efficacemente la criminalità e il disagio sociale, utilizzando a tal fine finanziamenti europei diretti e indiretti. (PDF)
Introduzione
In questa ricerca si parte dall’idea, già consolidata in letteratura[1], che le differenti condizioni socio ambientali (presenza di criminalità, malessere sociale e povertà) tra le regioni italiane, abbiano effetti negativi sulla produttività delle imprese manifatturiere; altri studi[2], in aggiunta, spiegano i divari di produttività utilizzando fattori manageriali (investimenti per addetto, costo del lavoro, quota di esportazione e quota fatturato).
Sulla base di queste idee, il presente studio rappresenta un ulteriore contributo a questo filone di ricerca evidenziando il ruolo giocato dall’eterogeneità del tessuto produttivo manifatturiero italiano. In particolare, consci che le imprese manifatturiere si distinguono per innovazioni, dimensione e flussi tecnologici, si è scelto di classificarle, seguendo la tassonomia di Pavitt, in: a) Supplier dominated, caratterizzate da imprese tradizionali di piccole dimensioni; b) Specialised suppliers, con imprese medio-piccole, che producono strumenti di precisione; c) Scale intensive con imprese di grandi dimensioni in settori siderurgici e meccanici d) Science based grandi aziende (chimica, farmaceutica, elettronica e informatica) basate su R&S. Lo studio tenta di rispondere, per gli anni 2012-2016, ai seguenti due quesiti: 1) la produttività del lavoro è condizionata anche dai fattori socio-ambientali? 2) Nell’ipotesi che lo sia, quali tipologie di imprese ne sono maggiormente influenzate?
L’applicazione della regressione quantile permette di evidenziare che la produttività del lavoro delle industrie manifatturiere italiane è molto eterogenea e che la relazione tra produttività del lavoro, le caratteristiche manageriali delle imprese e il contesto socio ambientale non è costante tra i quantili e tra i settori classificati dalla tassonomia di Pavitt. In particolare, è emerso che i fattori socio ambientali considerati influenzino la produttività per tutte le imprese ad eccezione di quelle appartenenti a “Science based”.
Il lavoro è così strutturato: la sezione 2 descrive i dati e introduce la metodologia adottata; la sezione 3 discute i risultati empirici e la sezione 4 presenta le conclusioni.
Metodologia ed analisi dei dati
L’analisi empirica, riferita al periodo 2012-2016, valuta una serie di indicatori su base regionale sviluppati dall’Istat facenti parte del “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” e del “Benessere Equo e Sostenibile”. Per esigenze di analisi e considerato lo scopo dello studio, sono stati selezionati solo alcuni indicatori, che risultano più significativi e funzionali ad una lettura attenta del fenomeno. La produttività del lavoro è misurata dal rapporto del valore aggiunto per numero di dipendenti. Sono state considerate le seguenti proxies manageriali:
- “Costo del lavoro per dipendente”, è noto che un aumento del costo del lavoro favorisca la sostituzione di quest’ultimo con il capitale (effetto Ricardo), stimoli l’innovazione e, inoltre, incentivi i dipendenti (teoria dei “salari di efficienza”).
- “Investimenti per dipendente”, è una proxy degli investimenti in efficienza (Sylos Labini, 2004), ovvero gli investimenti innovativi realizzati in risposta alla crescita del costo relativo del lavoro. Per Kaldor (1966), i nuovi investimenti rappresentano un progresso tecnico endogeno.
- “Quota delle esportazioni” calcolata come impatto del settore sulle esportazioni manifatturiere totali della regione ed è un indicatore della competitività. È noto che le aziende esportatrici siano stimolate ad aumentare la produttività per essere competitive. Questo incentivo spinge le aziende più grandi a investire in R&S (Castellani et al., 2017).
- “Quota di fatturato” calcolata come quota del settore rispetto al fatturato totale della regione, essa misura il peso del settore nell’ambito industriale.
Come fattori socio ambientali sono stati utilizzati gli indicatori compositi del BES[3] relativi a:
- “Condizioni economiche minime”, ottenuto sintetizzando quattro indicatori relativi: alla condizione di grave deprivazione materiale, alla qualità della casa, alla difficoltà economica di “sbarcare il lunario” e alla bassissima intensità del lavoro familiare. Un aumento dell’indice indica una riduzione della condizione di disagio.
- “Criminalità predatoria”, è un indicatore della dimensione della sicurezza ed è composto dal tasso di furto con scasso, tasso di borseggio e tasso di rapina[4].
- “Indice di innovazione ricerca e creatività”, composto dai tre indicatori elementari di intensità di ricerca, lavoratori della conoscenza e occupati in imprese creative.
Come già detto, per valutare l’effetto sulla produttività del lavoro regionale nei quattro settori Pavitt delle proxies considerate è stato utilizzato il modello di regressione quantile seguendo l’approccio già applicato da diversi studiosi (si veda tra gli altri: Velucchi et al 2014, Ha et al 2019, Mundakkad P. 2018). Il modello stimato è:
dove:
- LP è la produttività del lavoro per ogni regione i al tempo t;
- W è il costo del lavoro per dipendente per ciascuna regione i al tempo t-1;
- IL sono gli investimenti per dipendente per ciascuna regione i al tempo t-1;
- ER è il tasso di esportazione per ciascuna regione i al tempo t;
- FR è il tasso di fatturato della regione i al tempo t;
- IRS è l’indicatore di innovazione, ricerca e creatività per la regione i al tempo t;
- MEC è l’indicatore delle condizioni economiche minime per la regione i al tempo t;
- PCI è l’indicatore della criminalità predatoria in ciascuna regione i al tempo
La scelta di utilizzare un modello di regressione quantile è da attribuirsi sia a motivi strettamente tecnici legati alla forma della distribuzione della variabile “produttività del lavoro” che non può essere considerata “normale”, sia alla volontà di avere un’analisi più dettagliata. La regressione quantile, infatti, ha il vantaggio di stimare tutta la distribuzione della variabile dipendente e non di concentrarsi sulla media (come avviene per la regressione OLS). Il suo utilizzo in questa ricerca è utile in quanto le regioni ad alta / bassa produttività del lavoro non sono considerate come outliers[5].
Risultati
La figura 1 mostra i cartogrammi relativi alla produttività media del lavoro dei settori manifatturieri classificati secondo la tassonomia di Pavitt ed evidenzia il divario esistente tra le diverse regioni italiane. Dalla tabella 1 che riporta i risultati del modello di regressione quantile per il 10°, 25°, 50°, 75° e 90° quantile, per ogni gruppo della tassonomia di Pavitt, si evince che:
Per i settori identificati in Supplier dominated, gli “Investimenti per i dipendenti”, il “Costo del lavoro”, la “Quota delle esportazioni”, le “Condizioni economiche minime” e l’indice di “Criminalità predatoria” contribuiscono a spiegare la produttività del lavoro. In particolare, si osserva che tali variabili territoriali sono particolarmente rilevanti per le imprese con bassa produttività del lavoro, mentre l’importanza della “Quota di esportazione” aumenta con i livelli di produttività.
Per i settori classificati in “Specialised suppliers” si rileva che il “Costo del lavoro”, la “Quota di fatturato”, le “Condizioni economiche minime” sono statisticamente significativi sulla produttività del lavoro. Il “Tasso di fatturato” non ha effetti significativi sulle imprese situate in regioni con maggiore e minore produttività (quantile 10 e 90). Si noti anche che sulla produttività del lavoro le MEC e il “Costo del lavoro” sono molto più importanti per le regioni sia a bassa che alta produttività. Gli “Investimenti per addetti”, il “Tasso di esportazione”, la “Criminalità predatoria” e l’“Innovazione, ricerca e sviluppo” sembrano non influenzare in modo statisticamente significativo la produttività delle imprese appartenenti a questa macro area.
Osservando i risultati della classificazione “Scale intensive” si evince che il “Costo del lavoro”, l’indicatore delle MEC e IRS hanno un ruolo significativo nello spiegare la produttività del lavoro regionale. In particolare, il “Costo del lavoro” è più importante per le regioni italiane ad alta produttività, al contrario, IRS e MCE sono più rilevanti per le regioni italiane a minore produttività. Il tasso di esportazione non sembra influenzare le imprese classificate in questo settore.
Infine, per le imprese classificate come “Science based” gli “Investimenti per addetto”, il “Costo del lavoro”, la “Quota esportazioni” e la “Quota di fatturato” contribuiscono in modo significativo a spiegare la produttività del lavoro manifatturiero, mentre le variabili socio ambientali considerate non sembrano essere rilevanti.
Conclusioni
Questo studio ha indagato l’andamento eterogeneo della produttività del lavoro delle imprese manifatturiere italiane utilizzando alcuni indicatori di benessere equo e sostenibile, come proxies di fattori socio-ambientali, e distinguendo le imprese seguendo la tassonomia di Pavitt.
Il modello di regressione quantile applicato ha evidenziato che le proxies manageriali e socio ambientali non sono costanti tra i quantili e tra i diversi macro settori.
Si è dimostrato che i fattori manageriali hanno effetti differenti sulla produttività del lavoro, ad esempio, gli investimenti per dipendente sembrano non influenzare la produttività del lavoro per i settori Specialised Supplier e Scala intensive; di converso, i fattori ambientali legati al territorio:
- non incidono sulla produttività delle imprese nel settore Science based, caratterizzato da grandi imprese con livelli tecnologici avanzati;
- influiscono negativamente sui bassi livelli di produttività nei settori Scale intensive, caratterizzati da grandi imprese che producono beni durevoli (metalli di base, autoveicoli e relativi motori;
- non condizionano i settori Specialised suppliers, ad esclusione delle Condizioni economiche minime;
- hanno un effetto negativo nei settori Supplier dominated, caratterizzati da piccole imprese che producono beni tradizionali (tessile, abbigliamento, pelletteria, calzature).
In conclusione, se si accetta l’ipotesi della recente letteratura che i divari territoriali di produttività siano l’ostacolo principale allo sviluppo economico di un paese[6], dai risultati di questa ricerca è possibile trarre, in termini schematici, alcune indicazioni di politica economica per tentare di aggredire le cause dell’esistenza di tali divari. In sostanza, al fine di rimuovere gli ostacoli per lo sviluppo delle regioni più deboli, le politiche di intervento, avvalendosi, in prevalenza del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” e dei “Programmi Operativi Nazionali” (PON) dovrebbero essere, tra l’altro, volte:
1) ad intensificare la lotta alla criminalità nelle aree dove il fenomeno è maggiormente intenso, al fine di generare migliori garanzie sui “diritti di proprietà” per chi in tali aree opera;
2) migliorare le capacità organizzative imprenditoriali in seno alle aziende sia mediante maggiore cooperazione fra scuola e impresa nella formazione, sia con politiche attive del lavoro;
3) a favorire la cooperazione tra imprese appartenenti a diverse aree territoriali, in modo tale che quelle che si trovano ad operare nelle aree meno agiate si possano rendere maggiormente indipendenti dalla realtà socio economica circostante.
[1] Tra gli altri: Felli e Tria, 2000; Ofria, 2000; Centorrino e Ofria, 2001, 2008; Daniele, 2009; Detotto e Otranto, 2010; Daniele e Marani, 2011; Albanese e Marinelli, 2013; Pinotti, 2015; Millemaci e Ofria (2016), Ganau e Rodríguez‐Pose, 2018; Alesina et al., 2019; Brown e Hibbert, 2019; Acemoglu et al. 2020; Calamunci e Drago, 2020; Ha et al., 2021
[2] Tra gli altri: Aiello et al., 2015; Pinotti, 2015; Cucculelli e Storai, 2018; Ganau e Rodríguez Pose, 2018
[3]Tutti gli indici compositi sono ottenuti applicando l’indice di Mazziotta-Pareto Aggiustato (Mazziotta e Pareto, 2016).
[4]Il calcolo dell’indice si basa sui dati delle denunce di reato delle statistiche di polizia (fonte Ministero dell’Interno) corrette con le quote medie sommerse delle vittime di reato (per tipologia di reato) tratte dalla sezione “Sicurezza dei cittadini” sondaggio (ISTAT). Il numero di furti di casa viene calcolato moltiplicando, per ogni anno, la dimensione media della famiglia per il numero di denunce di furti di casa. Questo indice è uno dei 12 considerati nel Def.
[5] L’analisi è stata condotta utilizzando il software STATA.15 (Stata Corporation, Texas, USA).
[6] Si veda la letteratura indicata in nota 1.
Riferimenti bibliografici
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