Un’ampia letteratura ha dimostrato l’importanza della qualità delle istituzioni come fattore determinante per il successo delle politiche di coesione. In questo lavoro si propone un indicatore di qualità istituzionale calcolato per le singole province italiane, che evidenzia una marcata eterogeneità tra le diverse aree del Paese ed il forte ritardo delle regioni meridionali. L’indicatore finale risulta fortemente correlato sia con i livelli di produttività osservati nelle province italiane che con il grado di efficienza finanziaria delle regioni nella spesa dei fondi europei. Scarica PDF
1. Introduzione
La politica regionale dell’Unione Europea costituisce, sia in termini di impegno finanziario che di copertura geografica e temporale, uno dei più importanti programmi mondiali place-based di trasferimento e redistribuzione di risorse tra regioni di diversi Paesi, volti a stimolare la crescita nelle aree in ritardo di sviluppo. Le politiche di coesione hanno una storia che supera ormai i quattro decenni, grazie alla creazione del Fondo per lo sviluppo regionale (FESR), nato con l’obiettivo di ridurre le disparità regionali, valorizzare la ricerca tecnologica e promuovere lo sviluppo dei settori energetico, dei trasporti e delle telecomunicazioni. In Italia l’attenzione è da sempre focalizzata sulle risorse spese per il Mezzogiorno, che da solo rappresenta l’area sottosviluppata più estesa dell’Europa Occidentale, oltre ad essere quella ad aver beneficiato della quota più ampia di finanziamenti. In particolare, il dibattito pubblico sulle politiche territoriali si è incentrato prevalentemente sull’ammontare di risorse disponibili e sulla capacità delle pubbliche amministrazioni di utilizzarle completamente. Nonostante l’enorme ammontare di risorse affluite nel tempo nelle regioni meridionali, il divario in termini di reddito pro-capite è rimasto sostanzialmente immutato negli anni (secondo i dati Istat da 56, 6 nel 2001 a 55, 4 nel 2019) mentre è notevolmente cresciuto quello rispetto ai cittadini dei 27 Paesi dell’Unione Europea, numeri che relegano il Mezzogiorno tra le aree europee con il più basso reddito pro-capite. Alle stesse conclusioni si perviene se si considera la produttività del lavoro che, nella media delle regioni meridionali, mostra un gap, inalterato nel tempo, di 25 punti percentuali rispetto al resto del Paese ed un aumento del differenziale rispetto ai Paesi dell’UE.
L’ampia letteratura economica che ha cercato di valutare in maniera più diretta gli effetti dei fondi strutturali sui vari territori che sono stati oggetto di intervento conferma la scarsa efficacia delle politiche di coesione nel Mezzogiorno, in cui non si rilevano effetti significativi di lungo periodo sulla crescita economica, mentre segnala risultati contrastanti nelle regioni europee.[1] In particolare, Aiello, Pupo (2012) e Albanese et al. (2021) dimostrano l’inefficacia dei fondi europei sulla crescita della produttività nelle regioni meridionali. Cerciello et al. (2019) evidenziano gli effetti negativi dei fondi europei sulla partecipazione al mercato del lavoro nel Mezzogiorno durante il periodo 2004-2012. Risultati appena più incoraggianti invece per le regioni meridionali sono quelli contenuti in Giua (2017) e Cerqua, Pellegrini (2018b), seppur essenzialmente riconducibili a effetti di spiazzamento, ossia alla ricollocazione di attività economiche dalle aree limitrofe a quelle interessate dal programma.[2]
Una conclusione condivisa è che la scarsa qualità delle istituzioni nelle diverse aree, che comprende sia la dimensione politica che economica, costituisca un fattore importante per spiegare sia l’eterogeneità osservata dell’impatto delle politiche di coesione nelle diverse aree, nonché la causa principale della sostanziale inefficacia di queste politiche nel Mezzogiorno.[3]
Al fine di individuare i fattori di maggiore criticità che contribuiscono a rendere poco efficaci le politiche di intervento, in questo lavoro si propone un indicatore sintetico di qualità istituzionale calcolato a livello provinciale, che evidenzia la marcata eterogeneità tra le diverse aree del Paese ed il forte ritardo delle regioni meridionali. Viene inoltre considerata la relazione tra l’indicatore di qualità istituzionale e l’effettivo livello di efficienza finanziaria delle regioni nella spesa dei fondi europei relativi al ciclo della politica di coesione 2014-2020.
2. La qualità istituzionale nelle regioni del Mezzogiorno
In questo paragrafo proponiamo un indicatore sintetico di qualità istituzionale per le province italiane costruito aggregando le informazioni disponibili relativamente a cinque dimensioni: capitale sociale, qualità del capitale umano, efficienza della pubblica amministrazione, dotazione di servizi per lo sviluppo economico e livello di illegalità. Oltre ad offrire un aggiornamento rispetto ad alcuni lavori precedenti, nella costruzione dell’indicatore abbiamo inserito alcune variabili, non disponibili in precedenza che, a nostro giudizio, arricchiscono e rendono più accurata la valutazione del contesto competitivo che caratterizza le regioni italiane.[4]
Il primo ambito considerato è il capitale sociale, inteso come grado di senso civico, valori culturali e cooperazione sociale. La letteratura ha evidenziato che le istituzioni informali, cioè l’insieme delle caratteristiche delle organizzazioni sociali come le reti, le norme e la fiducia, influenzano l’efficacia delle politiche regionali di coesione (Accetturo et al., 2014). Per la misurazione del capitale sociale delle province italiane si è utilizzato il numero di quotidiani letti per abitante, il tasso di partecipazione sociale, il numero di organizzazioni non profit e il peso delle società cooperative.
Nonostante la qualità del capitale umano venga considerata in letteratura come un fattore a sé stante, riteniamo invece che essa sia intrinsecamente legata anche alla qualità istituzionale. Uno studio di Becker et al. (2013) rileva che durante i tre periodi di programmazione 1989-2006, ben due terzi delle regioni europee, tra cui il Mezzogiorno, presentano delle criticità strutturali, in termini di dotazione di capitale umano, che fanno da tappo all’impatto delle politiche di coesione sulla crescita. La nostra misura di capitale umano è ottenuta considerando le seguenti variabili: punteggi medi ai test Invalsi, numero di laureati ogni mille abitanti, possesso di competenze digitali, numero di occupati con laurea in discipline scientifiche-tecnologiche, tasso NEET e tasso di uscita precoce dal sistema di istruzione.
Un altro aspetto cruciale riguarda il peso delle amministrazioni pubbliche, che possono costituire un volano di sviluppo, oppure un importante elemento di inefficienza da cui discendono la lentezza della burocrazia e i deficit in fase di programmazione dei progetti di investimento. Con riferimento a questo ambito, ci concentriamo sull’efficienza del settore pubblico in settori chiave come la sanità locale, il sistema giudiziario e i tempi per la realizzazione delle infrastrutture. Questo indicatore di efficienza è costituito dal clearance rate[5], la durata dei procedimenti civili, la durata delle opere pubbliche, la raccolta differenziata urbana e il disavanzo regionale nella sanità.
Il quarto ambito, la dotazione di servizi per lo sviluppo economico, offre una misura della capacità di favorire, o ostacolare in taluni casi, il potenziale di sviluppo del territorio. Ad esempio, la relativa scarsità di servizi e infrastrutture che caratterizza alcune province, è uno degli elementi in grado dispiegare i differenziali di produttività tra imprese (Manzocchi et al., 2017). La scelta delle variabili si basa sull’assunzione che queste rappresentino una buona approssimazione della qualità del sistema economico, della sua capacità di innovazione, creatività e produttività. Più precisamente queste sono: la dotazione infrastrutturale, la capacità delle imprese di esportare, la capacità di esportare nei settori a domanda mondiale dinamica, la spesa in ricerca e sviluppo, il grado di diffusione della banda larga nelle imprese, il numero di sportelli bancari, l’intensità brevettuale e la mortalità delle imprese.
L’ultimo ambito è il livello di illegalità, che cattura la corruzione, l’abilità dell’amministrazione pubblica di garantire una buona qualità di enforcement e di tutela del sistema ecologico. Per il Mezzogiorno, studi sui trasferimenti pubblici hanno rivelato come una maggiore dotazione di fondi europei incentivano comportamenti opportunistici, rappresentati dai reati contro la PA (De Angelis et al., 2020). Il livello di illegalità è misurato dall’abusivismo edilizio, il tasso di illegalità ambientale, i crimini contro la pubblica amministrazione, gli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, l’indice di pericolosità fiscale e l’economia sommersa.
In totale abbiamo utilizzato 28 variabili, osservate dal 2010 al 2018, per costruire un indicatore relativo a ciascuno dei cinque ambiti per le singole province e per le regioni italiane.[6] Le variabili successivamente sono state normalizzate al fine di uniformare le loro unità di misura. Su ciascuna variabile, osservata sulla provincia i al tempo t, è stata applicata la seguente trasformazione min-max:
dove il segno indica la polarità positiva o negativa, rispettivamente, della variabile. Questo metodo trasforma la distribuzione di ogni variabile in modo che il suo valore minimo valga 0 (pessima qualità istituzionale) e il suo valore massimo valga 1 (ottima qualità istituzionale), consentendo di ottenere un ranking provinciale.[7]
I risultati per i singoli ambiti e per l’indicatore finale di qualità istituzionale a livello regionale sono riportati nell’Appendice A2. La Figura 1 mostra la distribuzione provinciale dell’indicatore sintetico relativa al 2010 e al 2018. Emerge la presenza di un forte gap istituzionale tra le province del Centro-Nord ai primi posti e quelle del Mezzogiorno agli ultimi posti, con la Calabria fanalino di coda. In termini relativi, è importante osservare come il gap tra regioni sviluppate e regioni meno sviluppate sia ancora più ampio rispetto a quello osservato in termini di reddito pro-capite. Emerge inoltre che il divario istituzionale sia rimasto sostanzialmente inalterato nel corso dell’ultimo decennio.
La forte correlazione esistente tra l’indice sintetico di qualità istituzionale e la produttività (valore aggiunto per occupato), entrambe calcolate come medie del periodo 2010-2018 (si veda Figura 2), indica in maniera evidente quanto il restringimento del gap di produttività tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud debba passare necessariamente per un miglioramento del contesto economico-sociale che caratterizza il Mezzogiorno.
3. Qualità istituzionale ed efficienza nella spesa dei fondi europei
Questo paragrafo descrive lo stato di avanzamento della spesa comunitaria dei programmi gestiti dalle regioni nel ciclo di programmazione della politica di coesione 2014-2020. Ai fini della valutazione della spesa vengono analizzate per ogni regione sia la capacità di portare a termine i progetti europei che la loro capacità di assorbimento, un esercizio particolarmente interessante alla luce del nuovo ciclo di programmazione e del Next Generation EU.
La Tabella 1 presenta un quadro generale (aggiornamento OpenCoesione del 31 marzo 2021) sulle politiche di coesione 2014-2020 in Italia e, nello specifico, lo stato di attuazione dei progetti finanziati attraverso i Fondi strutturali e di Investimento Europei (SIE), del Fondo Nazionale per lo Sviluppo e Coesione (FSC) e del Piano d’Azione per la Coesione (PAC).[8] Le regioni meno sviluppate, sebbene facciano registrare un numero di gran lunga inferiore di progetti rispetto a quelle sviluppate, hanno ricevuto la quota maggiore di finanziamenti europei, ottenendo il 65% dei finanziamenti complessivi. Un primo elemento per la valutazione della spesa riguarda la capacità di utilizzazione dei progetti europei a livello locale. Questa è calcolata come il rapporto tra il numero di progetti conclusi o liquidati, ovvero quelli con un avanzamento finanziario superiore al 95%, e il numero di progetti finanziati. Dal calcolo di questo rapporto, è possibile stilare una classifica regionale del livello di efficienza realizzativa in ambito di progetti europei. Seppur in maniera meno marcata rispetto agli indicatori presentati in precedenza, si evidenzia anche in questo caso un ritardo delle regioni meno sviluppate nei confronti delle altre. In cima al ranking svetta la Lombardia con il 98% di capacità di utilizzazione dei progetti europei, mentre in coda troviamo la Calabria dove meno di un progetto su due viene portato a termine.
Un dato ancor più interessante, che offre invece una lettura sulla capacità di assorbimento dei due fondi strutturali principali, FESR e FSE, è rappresentato dal rapporto tra pagamenti e le risorse pubbliche programmate. Siccome le regioni meno sviluppate in genere dispongono di un ammontare di risorse decisamente più elevato rispetto a tutte le altre, si è provveduto al calcolo di un indicatore ponderato di assorbimento dei fondi, che offre una misura per ogni regione dell’effettivo livello di efficienza finanziaria, con pesi attribuiti in base sia all’incidenza dei pagamenti che degli stanziamenti per ogni regione sul rispettivo totale nazionale. La Figura 3, oltre a evidenziare una capacità di assorbimento modesta dei fondi europei sia per le regioni meno sviluppate che per quelle in fase di transizione[9], mette in risalto una forte correlazione tra l’indice sintetico di qualità istituzionale e l’indicatore ponderato di efficienza finanziaria. Sebbene sia un’analisi puramente descrittiva e senza pretesa di indicare nessi di causalità e, inoltre, la regola n+3 consenta di utilizzare i fondi entro tre anni dall’impegno a bilancio, è evidente che le regioni del Mezzogiorno, caratterizzate da una minore qualità istituzionale, sono associate a una scarsa capacità di assorbimento dei progetti europei.
4. Considerazioni conclusive
Il nuovo ciclo di programmazione 2021-2027 e le ingenti risorse messe a disposizione dal Next Generation EU costituiscono una occasione unica, forse irripetibile, per rilanciare la crescita del nostro Paese e soprattutto del Mezzogiorno. Tuttavia, perché ciò avvenga è necessario non ripetere gli errori di un ormai lungo passato caratterizzato da una sostanziale inefficacia delle politiche di coesione nella riduzione dei divari esistenti. Il miglioramento della qualità della governance richiede perciò un approccio diverso, basato sull’utilizzo delle informazioni e delle metodologie disponibili, al fine di incidere su quei fattori che hanno reso poco efficaci in passato gli interventi effettuati nelle aree in ritardo.
L’evidenza empirica segnala che la politica di coesione ha finora prodotto risultati decisamente deboli nel Mezzogiorno a causa, tra le altre cose, dei divari di qualità istituzionale, condizione considerata imprescindibile per l’efficacia delle politiche. Alla luce del cattivo posizionamento dell’Italia e, in particolare, delle regioni meridionali rispetto al resto dell’Unione Europea, una politica di interventi, da attuarsi anche tramite risorse di provenienza nazionale, volta a migliorare il livello di capitale umano e la qualità socio-istituzionale rappresenta una strada obbligata per migliorare l’impatto delle politiche di coesione nelle regioni meridionali.
Questo lavoro mette in risalto il ruolo esercitato dalla qualità istituzionale, calcolata come indicatore sintetico utilizzando 28 variabili da fonti diversificate, riflettendo innanzitutto la capacità del personale amministrativo e burocratico delle amministrazioni locali, molto coinvolto nella gestione dei fondi strutturali, oltre che il contesto competitivo che caratterizza le regioni italiane. L’analisi condotta segnala chiaramente che la capacità di spendere i fondi europei a livello regionale sia molto differente, evidenziando un dualismo importante tra Nord e Sud, e in maniera ancora più marcata, tra regioni meno sviluppate e in fase di transizione da una parte e il resto delle regioni dall’altra. Perciò si rendono necessari piani formativi per dotare la nuova pubblica amministrazione di quelle competenze interdisciplinari necessarie per gestire le complessità e le tecnicalità richieste per una più efficiente gestione delle risorse pubbliche e l’introduzione di pratiche gestionali moderne e semplificate.
Secondo quanto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, il rilancio del paese passerà anche attraverso un ambizioso piano di riforme, per affrontare finalmente i limiti strutturali che ne frenano la crescita. Gli effetti delle riforme non saranno tuttavia immediati, mentre è di primaria importanza l’esigenza di gestire sia con accortezza che con tempestività i fondi destinati alle regioni del Mezzogiorno. Se la conseguenza è la perdita di finanziamenti, si rende necessario un rafforzamento della governance anche mediante meccanismi di supervisione potenziati per le regioni in ritardo di sviluppo, che dall’analisi mostrano chiare difficoltà nella spesa dei fondi della politica di coesione.
Bibliografia
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Note:
[1] I contributi più recenti che hanno investigato l’impatto delle politiche di coesione a livello europeo sulla crescita del PIL pro-capite e sull’occupazione segnalano un effetto positivo e statisticamente significativo, seppur modesto (Becker et al., 2010, 2013 e 2018; Pellegrini et al., 2013; Aiello e Foglia (2017); Foglia 2017; Cerqua, Pellegrini, 2018a; Fiaschi et al., 2018, Crescenzi, Giua, 2020).
[2] Per un’ampia rassegna di studi sull’impatto delle politiche di coesione nel Mezzogiorno si veda Accetturo, de Blasio (2019).
[3] Rodriguez-Pose, Garcilazo (2015), tra gli altri, hanno dimostrato l’importanza della qualità delle istituzioni per il successo delle politiche di coesione a livello europeo. Un’ampia letteratura ha, inoltre, preso in esame il ruolo del capitale territoriale, inteso come l’insieme di risorse umane, ambientali e organizzative dalla cui dotazione dipende il potenziale di sviluppo regionale (Becker et al., 2013; Fratesi, Perucca, 2019; Bachtrogler et al., 2020).
[4] La scelta degli ambiti è effettuata in larga misura sulla base del World Governance Indicator (WGI) della Banca Mondiale, che è un indice della qualità dell’azione pubblica nei diversi stati europei (Kaufmann et al., 2010). Si veda inoltre Nifo e Vecchione (2015).
[5] Il clearance rate è una misura di efficienza del sistema giudiziario e monitora la capacità dei singoli uffici di smaltire i procedimenti sopravvenuti ed è ottenuto dal rapporto tra procedimenti definiti e procedimenti sopravvenuti.
[6] La lista completa delle variabili è riportata nell’Appendice A1.
[7] Ogni indicatore è la media aritmetica delle variabili normalizzate del rispettivo ambito. Infine, l’indice finale di qualità istituzionale è ottenuto da una media ponderata dei 5 indicatori con pesi assegnati tramite Principal Component Analysis (PCA). Più precisamente, si calcola la PCA su tutto il campione e si stima la prima componente principale (che presenta un autovalore maggiore di 1 e che spiega circa il 75% della varianza complessiva) che attribuisce direttamente i pesi a ogni indicatore.
[8] Bisogna considerare che le politiche di coesione sono finanziate sia da fondi europei, ai quali è associato un co-finanziamento nazionale, sia da fondi nazionali. I dati mostrati in Tabella 1 fanno riferimento esclusivamente all’ammontare del finanziamento europeo.
[9] Nel ciclo di programmazione 2014-2020 le regioni in transizione sono Abruzzo, Molise e Sardegna, il cui Pil pro-capite è tra il 75 e il 90% della media UE. Sullo stato di avanzamento della spesa comunitaria in Italia si veda anche Aiello e Foglia (2019) e Marinuzzi e Tortorella (2021).
Tabella Appendice A1 Definizione delle variabili, fonti e periodo di riferimento.
Tabella Appendice A2 Indici sintetici di qualità istituzionale per regione, anno 2018.
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